Semplicemente Didier

Didier Pironi Didier Pironi

I pensieri...sono il lato oscuro della luna. Possiamo vedere le azioni e ascoltare le parole di un uomo, ma i pensieri no, sfuggenti ed inafferrabili come sono spesso le verità. Ed i pensieri di un pilota? Sono forse ancora più reconditi, soffocati sotto un casco che rappresenta la maschera di un teatro antico. Una maschera di velocità che cela anche le più piccole emozioni del viso. Soltanto una piccola fessura potrebbe rivelare la verità, ma gli occhi del campione sono troppo lontani per lasciarsi comprendere. Tante volte mi sono interrogato sui pensieri di un pilota seduto su una rossa macchina con il numero 28, durante quello strano Gran Premio di San Marino del 1982. Mancano 6 giri alla fine e le due Ferrari conducono saldamente la gara. Davanti Gilles e dietro Didier. Dal muretto è stato appena esposto il cartello "slow", nel timore che i due si trovino alle corde con il carburante. Significa congelare le posizioni fino all'arrivo ed entrambi i piloti lo hanno certamente visto. All'improvviso la Ferrari di Pironi scarta bruscamente e affianca quella del compagno di squadra che, colto di sorpresa, non riesce ad opporre la minima resistenza. Gilles non si da per vinto ed inizia una dura battaglia sotto gli occhi esterrefatti della squadra e dei tifosi. Le due 126C2, che prima avevano girato in 1'37", ora viaggiano sul piede dell'1'35". Gilles ritarda la frenata alla Tosa e riesce a riprendersi il maltolto. Mancano due giri alla fine e Didier non se ne da per inteso: il giro successivo, alla stessa curva, il francese tenta di rendere la pariglia con la stessa manovra. Le due macchine si sfiorano drammaticamente, ma Gilles resiste ostinatamente. Ritenta alle Acque Minerali e questa volta riesce a sfondare la porta che Gilles tiene disperatamente chiusa, andando a cogliere la seconda vittoria in carriera e la prima per il cavallino rampante. Ciò che accade dopo ha scarso rilievo: di sincero c'è soltanto la rabbia e la delusione di Villeneuve, che si sente tradito da una persona che considerava un amico. E Didier? Osserva semplicemente che da nessuna parte è scritto che lui debba essere secondo per sempre. Ma la sua è una posizione scomoda: dopo aver attaccato in pista, ora è costretto a difendersi agli occhi della squadra e dei tifosi che hanno assistito impietriti allo sgarbo. Gesto premeditato oppure uno scatto d'orgoglio nato sul momento? Mancano all'appello i famosi pensieri. Quel gesto per molti rimarrà come una definizione: Didier il traditore. Didier, l'uomo chiuso ed introverso con uno strano concetto dell'amicizia, come qualcuno lo definirà. Evidentemente una definizione troppo stretta. A così tanti anni di distanza vale la pena di riscoprire un personaggio, non tanto con l'idea di stabilire la verità, ma di conoscere un uomo, un pilota nella sua interezza e complessità. Didier è uno nato con una buona mano di carte a disposizione: viene alla luce il 26 marzo del 1952 da una famiglia di "Macaroni", gli emigranti italiani in Francia. I Pironi sono di origine friulana, ma nella nuova patria hanno fatto fortuna come imprenditori edili e a Didier si presenta la possibilità di un'esistenza agiata. Poco si conosce dei suoi primi anni di vita, tranne che mostra precocemente una forte predisposizione per lo sport. All'inizio è la dura scuola del nuoto, ma intorno ai 15 anni inizia l'interesse verso il mondo della velocità e dei motori. La malattia gli viene trasmessa dal cugino, José Dolhem, che ha iniziato a correre con le Lotus Seven e nel 1969 conquista il Volante Shell. Al seguito del cugino, Didier ha modo di avvicinare gente come Depailler e Jarier, che si stanno facendo le ossa in attesa di una chiamata dalla Formula 1. Ma il suo interesse lo orienta inizialmente verso le moto e soltanto le apprensioni della madre lo riportano verso le quattro ruote, ritenute più sicure. Il ragazzo ha la testa sul collo e pur provenendo da una famiglia agiata, sa che le corse costano e non ha la minima intenzione di buttarci soldi a vuoto. All'epoca, in Francia, esisteva una benemerita istituzione, il Volante Elf, che consentiva ad aspiranti piloti di seguire un corso base al Paul Ricard e passare sotto l'ala protettrice della munifica compagnia petrolifera. Didier vi s'iscrive nel 1972 e fa suo il Volante che gli apre le porte per la Formula Renault. Nel 1973 la serie è frequentata da brutti clienti come Arnoux e Tambay, ma Didier non se la cava male: qualche podio e diversi piazzamenti lo portano a chiudere la stagione al sesto posto. La sua regolarità e i risultati ottenuti soddisfano la Elf, ma non Pironi. Didier non è deluso da se stesso, quanto da un ambiente fortemente competitivo, sporcato da irregolarità sulla qualità del materiale fornito ai concorrenti. E' il veleno delle piccole serie monomarca, dove si ha sempre il sospetto che altri dispongano di un motore più potente o di un'assistenza migliore. Per il 1974 Pironi fa qualcosa di veramente straordinario per un ragazzo di vent'anni: convince la Elf ad affidargli completamente il budget a sua disposizione per la nuova stagione. Con quei soldi Didier mette in piedi la sua squadra, facendo praticamente tutto da solo. In quel periodo si attira anche le simpatie di Tico Martini, il mitico fornitore dei telai, che ammira nel ragazzo la sensibilità nello sviluppare e settare la macchina. E' un'annata trionfale che vede Didier vincere 7 gare su 15 e conquistare autorevolmente il campionato. Gli avversari sono avvisati: se l'aspetto fanciullesco e l'atteggiamento taciturno potrebbero tradire una certa timidezza, il suo comportamento in pista parla chiaro e dice che Pironi corre per vincere. Nel 1975 la Formula Renault diventa un Challenge Europeo, ma per Didier ritorna l'amarezza della prima stagione: i galli nel pollaio della Elf sono troppi e si agitano, tramano alle spalle l'uno dell'altro e non si contano i sospetti e le accuse di scorrettezza nell'uso del materiale. Didier si fa mettere sotto da Arnoux e da Ragnotti. Per lui è una stagione buttata e per il 1976 si prepara a fare sfracelli: 12 vittorie in 17 gare, di cui 8 consecutive e 10 giri più veloci. Tanta manifesta superiorità gli apre le porte della Formula 2: nel 1977 conquista una vittoria e a suon di podi e piazzamenti chiude il campionato al terzo posto. Ma l'impresa che lo lancia definitivamente è la conquista del Gran Premio di Formula 3 a Montecarlo, sotto gli occhi dei grandi boss della Formula 1. Il più grande talent scout di quegli anni è sicuramente Ken Tyrrell, uno dei pochi disponibili a rischiare immagine e risorse per investire su giovani piloti. Li prende sotto la sua ala protettrice, li alleva, ne corregge spesso con rudezza i difetti e ne calma i bollenti spiriti. Ken vede all'opera il giovane Pironi e ne intuisce il potenziale: non si tratta solo di velocità pura, ma di determinazione ed autodisciplina nel gestirsi e nel gestire la corsa. Per il 1978 lo affianca a Depailler: due piloti francesi per la gioia dello sponsor Elf. In realtà è un momento felice per tutto l'automobilismo francese: alla generazione dei piloti entrati in Formula 1 nei primi anni '70, Laffitte Depailler e Jarier, si stanno aggiungendo nuovi talenti: Jabouille, Arnoux, Tambay e presto si affaccerà anche Alain Prost. Ad una Ligier sempre più competitiva si è aggiunta la Renault, che ha portato in Formula 1 la rivoluzionaria tecnologia del turbo, mentre le Michelin a carcassa radiale stanno surclassando le vecchie tele incrociate della Good Year. Il sogno del paese è di vedere un pilota francese vincere il mondiale su una vettura tutta francese, dal primo all'ultimo bullone, e in quel momento non sembra nemmeno tanto impossibile. Rivalità tra le due equipe iscritte al campionato, ma anche tra i piloti: ognuno in cuor suo spera e sogna di essere il primo francese Campione del Mondo di Formula 1. Pironi non è da meno, ma in lui il sogno diventa quasi ossessione e la consapevolezza della concorrenza che incombe gli mette ancora più fretta e voglia di arrivare. La sua prima stagione in Formula 1 è vissuta con realismo, davanti alla consapevolezza di dover imparare tutto. Didier mette a frutto la sua maggiore qualità, cioè la capacità di massimizzare ogni esperienza e tramutare l'errore in una lezione. Il suo primo rivale è Depailler. Pironi non ci mette molto ad avvicinare i suoi tempi e dapprima a Zeltweg e poi a Monza riesce anche a batterlo in qualifica: ma gli manca ancora il mestiere! Chiude il campionato con sette punti in classifica, accumulati con piazzamenti in Sud Africa, Brasile, Montecarlo e Germania. Per quanto ha potuto, è rimasto fuori dai guai cercando di portare la 008 intera al traguardo, atteggiamento sicuramente gradito da Ken Tyrrell. La maggiore soddisfazione in quella stagione gli viene dalla vittoria a Le Mans con una Renault Alpine A442B Turbo ufficiale. In coppia con Jassaud, Pironi eredita la testa della corsa dopo che la vettura gemella di Jabouille-Depailler si ferma con il motore arrosto alla 18° ora di corsa. In realtà, per Didier è il terzo tentativo alla classica francese: la prima volta, nel 1976, concluse 19° con una Porsche 934, mentre l'esperienza del 1977, a bordo di un'Alpine Renault A442 Turbo dell'Equipe De Chaunac, lo aveva visto costretto al ritiro per una perdita di olio e un principio d'incendio. La vittoria sul circuito della Sarthe sembra avvicinare Pironi alla Renault, tanto che Gerard Larousse, responsabile delle attività sportive della "Regie", tenta di svincolare il pilota dal contratto che lo lega a Ken Tyrrell. L'accordo tra le due parti non viene raggiunto, ma Didier non sembra patirne: "Dopotutto, né io, né la Renault siamo a fine carriera."

1979, GP Italia, D.Pironi su Tyrrell 009

Pensa che la squadra possa fornirgli una macchina vincente, ma non è così: la Tyrrell 009 è la fotocopia della Lotus 79 che ha sbancato il mondiale l'anno precedente, ma non ne ha le doti dinamiche. Sia Didier, sia la nuova prima guida della Tyrrell, Jean Pierre Jarier, si troveranno alle prese con una macchina instabile e oltretutto inaffidabile. Si è entrati nell'era dell'effetto suolo, fenomeno che aumenta l'aderenza della vettura, rivelandosi, però, molto precario come condizione. Per mantenere le minigonne incollate al suolo ed evitare che il fondo della macchine da deportante passi repentinamente a portante, si irrigidiscono le sospensioni con gravi conseguenze sui telai e sulle sospensioni. I cedimenti strutturali diventano frequenti e Pironi colleziona due paurosi incidenti: durante le prove del Gran Premio del Sud Africa gli si stacca la ruota posteriore in un veloce curvone da 200 Km/h. Sebbene sotto shock, esce illeso dal tremendo schianto. E' costretto a ripetere la carambola sul circuito di Digione, sempre per la rottura di un mozzo, e questa volta a 230 Km/h. Nonostante gli incidenti, i guasti ed i problemi economici che affliggono la squadra (soltanto a stagione avanzata si riesce a trovare uno sponsor importante) per Didier rimane comunque un'annata buona: chiude al terzo posto in Belgio e a Watkins Glen, più diversi piazzamenti che gli consentono di chiudere il campionato al 10° posto. Le Mans potrebbe offrirgli ancora un'opportunità vincente, dividendo l'abitacolo di una Porsche 936 con il grande specialista della maratona francese Jacky Ickx, ma Ken Tyrrell si oppone: il team inglese utilizza gomme Good Year, mentre la macchina tedesca è equipaggiata con pneumatici Dunlop. A fine stagione Tyrrell e Pironi dividono i propri destini. Il pilota transalpino è conteso da Brabham, Lotus e Ligier: gli inglesi pagano di più, ma il cuore lo porta nella squadra francese, che oltre tutto sta vivendo un periodo piuttosto positivo sul piano della competitività. Guy Ligier è un patron difficile e un po' dispotico, mentre Jacques Laffitte è un pilota molto veloce e combattivo. I due rappresentano un sodalizio che data agli inizia dell'avventura di Ligier come costruttore di macchine da corsa. L'inserimento di Pironi in un collaudato rapporto a due rappresenta un'incognita.

1980, GP Monaco, D.Pironi su Ligier JS11/15

La stagione stessa si dipana in modo controverso, tra luci ed ombre: due pole a Monaco e Brands Hatch. A Zolder arriva la prima vittoria in carriera, in una corsa dominata in maniera schiacciante dal primo all'ultimo giro; una mancata vittoria in Canada per partenza anticipata e conseguente retrocessione al terzo posto, poi un secondo posto al Paul Ricard e ancora un terzo a Watkins Glen, a cui vanno aggiunti vari piazzamenti nei punti. Il lato oscuro della luna è rappresentato dalle occasioni sprecate. A Monaco è in testa quando il cambio inizia a sputare le marce: Pironi perde per un attimo il controllo della vettura e danneggia la propria monoposto contro le barriere. A Jarama ancora una volta il transalpino conduce la corsa, ma un cerchio si mette a fare i capricci, mentre in Germania viene lasciato a piedi da un semiasse. Didier è cosciente che la Ligier è un'ottima monoposto, ma inizia a pensare che la sua macchina difetti di una preparazione adeguata rispetto a quella di Laffitte.

1980, GP Monaco, D.Pironi, P.Depailler(AlfaRomeo), A.Jones (Williams)

Il carattere rude di Guy Ligier fa il resto. Il costruttore francese non ci mette molto a scaricare la colpa sui suoi piloti: a Brands Hatch, per esempio, cedono i cerchi di entrambe le vetture, negando alla squadra una straordinaria doppietta. Ligier dichiara alla stampa che, se i suoi piloti avessero usato un po' più il cervello, sarebbero riusciti a sbancare il Gran Premio. Già a metà stagione girano voci che Pironi sia sul mercato. Il francese è spinto a cambiare non soltanto dai rapporti instabili che intrattiene con la sua attuale squadra, ma anche per la consapevolezza che il futuro è rappresentato dai motori turbocompressi: per il 1981 la Ligier può offrirgli soltanto la riesumazione del 12 cilindri Matra rimarchiato Talbot, in attesa che la casa francese presenti un suo propulsore turbo. Per Didier, che ragiona in termini di tempo, sarebbe un anno buttato. Ma al momento il turbo lo ha soltanto la Renault, mentre la Ferrari ne sta preparando uno per la stagione successiva: la Regie sembra più orientata verso il giovane fenomeno Alain Prost. A Maranello, invece, si sta cercando un sostituto per Jody Schekter e il nome di Didier è sulla lista del Commendatore. "L'ho seguito con attenzione apprezzando attraverso le riprese televisive certi suoi accaniti inseguimenti e certe sue tenaci difese: un vero combattente di razza. Come Phil Hill, amava le alte velocità e, come pochi, era a proprio agio nei curvoni ad ampio raggio dove bisognava tenere giù il piede." ricorderà poi Enzo Ferrari nei suoi scritti. Così Didier passa a Maranello, accontentandosi di una cifra inferiore all'offerta di Guy Ligier. Per giustificare un passaggio improvviso, Pironi dichiara che "in Ferrari non c'è una prima guida, ma due piloti a parità di condizioni." Forse l'equivoco nasce qui, all'inizio di uno strano triangolo: una foto ritrae il Vecchio con gli occhiali scuri in mezzo ai suoi alfieri, Gilles e Didier. L'uomo anziano, con il viso scolpito da una vita che non gli ha risparmiato né le grandi gioie, né il dolore più profondo. I piloti, dietro al cui viso fanciullesco si nascondono ambizioni prepotenti e quel filo d'incoscienza che è proprio dei combattenti. Ma è presto perché i due possano scoprirsi rivali: Pironi temeva che restando in Ligier avrebbe perso un anno, ma passando in Ferrari non è che le cose siano andate tanto diversamente. Macchina nuova, motore nuovo e tutti i problemi connessi nell'affrontare una nuova tecnologia come il turbo. L'unico a cavare qualche cosa di buono dalla 126C è Villeneuve, con quel suo stile violentatore alla "Giù la testa", che va al di là dei limiti del mezzo. Ed infatti vince a Montecarlo, dove in teoria il turbo era svantaggiato rispetto agli aspirati. Poi ancora una volta sul gradino più alto del podio in Spagna, dopo una lotta all'ultimo sangue con Lafitte, Watson, Reutemann e De Angelis. Per Didier soltanto una bella collezione di rotture e qualche punto racimolato qua e là. In compenso, nella squadra regna l'armonia: Didier e Gilles legano bene e nell'impossibilità di potersi sfidare su una pista, si divertono ad infrangere il codice della strada in confronti caserecci. Per il 1982 ci sono però novità importanti: l'arrivo in squadra di Harvey Postlethwaite consente di acquisire maggiori conoscenze sull'uso dei compositi e di fare un salto di qualità nella costruzione di telai moderni. I problemi al sei cilindri turbo sembrano in via di risoluzione e, durante i test invernali, la Ferrari ottiene riscontri interessanti che fanno ben sperare per la stagione successiva. In questo periodo risulta preziosa l'attività di collaudo svolta da Didier.

1981, GP Italia, D.Pironi su Ferrari 126C
1981, GP Italia, D.Pironi su Ferrari 126C

Nasce così la 126C2: probabilmente una delle Ferrari da corsa più belle, ma sopratutto veloce ed efficace. In un certo senso la macchina della discordia. Entrambi i piloti sono consapevoli del potenziale che hanno a disposizione, ma l'inizio di stagione sembra dominato più dalla politica che dagli eventi in pista: e' infatti in corso una guerra tra Fisa, Foca e Gpda (il sindacato dei piloti). Si tratta di un conflitto che vede la Federazione impegnata contro i costruttori per il regolamento tecnico, e contro i piloti per le norme contrattuali che si vogliono imporre. Al Gran Premio del Sud Africa i promettenti test privati della Ferrari non sembrano trovare conferma: Villeneuve rompe ancora il turbo, mentre Pironi lotta con l'alimentazione che fa i capricci. Il Gp di Argentina salta per mancanza di copertura economica e la squadra del cavallino rampante può recarsi a Le Castellet per ulteriori test, durante i quali Didier incappa in un brutto incidente che lo vede uscire vivo per miracolo. Al Gp del Brasile Didier è soltanto ottavo, mentre a Long Beach viene lasciato a piedi da un semiasse difettoso. Prima del Gp di Imola Pironi riesce a portare sull'altare la fidanzata storica Catherine. Poi via per San Marino, senza nemmeno il tempo di una luna di miele, proiettato verso quel gesto che rimane una macchia in una carriera improntata alla correttezza ed ai valori della sportività. A Maranello, davanti alla televisione, il Vecchio salta sulla sedia nel vedere i due galli scannarsi: la sua posizione è dichiaratamente a favore del canadese, ma tenta ugualmente una mediazione per rasserenare gli animi. L'uno recrimina la sua eccessiva dabbenaggine, l'altro obietta che da nessuna parte sta scritto che debba essere secondo in eterno. Tra i due piloti cala un muro d'incomunicabilità che rende l'atmosfera della squadra molto pesante. Qualcuno arriva a sussurrare che la faida abbia avuto inizio proprio dall'interno della Scuderia, con qualche dirigente che ha agitato le acque invitando il francese a farsi sotto. Altri recriminano sull'assenza di Forghieri dal muretto: se l'ingegnere emiliano fosse stato presente al Gran Premio quello sciagurato sorpasso non avrebbe avuto luogo. Altri ancora sciorinano la loro verità: Didier soffrirebbe di un complesso di inferiorità nei confronti di Villeneuve che, sin da quando ha messo piede a Maranello, con le sue imprese ha oscurato qualsiasi altro pilota. La gente vuole e vede soltanto Gilles. L'automobilismo è zeppo di storie su rivalità, tradimenti e sgarbi eclatanti, il più delle volte velocemente archiviate e riesumate di tanto in tanto come note di colore. Ma questa ha un risvolto tragico che l'ha fissata nella memoria della gente. A Zolder, durante le prove Didier si dimostra più veloce di Gilles: il canadese esce per un ultimo tentativo, ma non riesce a sopravanzare il rivale. A bocce ormai ferme, durante il giro di rientro, Villeneuve è vittima di un'incomprensione con Mass e decolla sulle ruote del tedesco: la macchina piroetta in aria e si sbriciola, mentre il suo pilota, il piccolo eroe canadese che ha infiammato le folle di tutto il mondo, viene proiettato in un ultimo tragico volo contro le reti di protezione al margine della pista. Davanti al vuoto causato da un evento per certi versi incomprensibile, c'è chi va a caccia del colpevole. E' il colpevole non deve avere necessariamente una responsabilità diretta nell'incidente. Per molti il colpevole è lui: Didier. Ora si ritrova addosso la pressione della stampa e la responsabilità di prima guida della squadra. A Monaco, nonostante problemi all'iniezione riesce a mantenersi nelle posizioni di testa. Sembrerebbe un gran premio destinato a passare alla storia per la noia, ma negli ultimi giri, causa la pioggia improvvisa, si scatena il manicomio. Prost in testa perde il controllo della Renault e si schianta contro le barriere. Passa al comando la Brabham di Patrese, ma l'italiano va in testacoda al Loews e si ritrova con il motore spento. E' il momento di Pironi, prima di ritrovarsi fermo sotto il tunnel, clamorosamente... a secco di benzina! La dea delle corse da e toglie: Patrese, spinto dai commissari che lo ritengono in posizione pericolosa, riesce a far ripartire la macchina e a vincere incredibilmente il Gran Premio, mentre il vantaggio accumulato sugli avversari basta a Didier per conservare il secondo posto. Poi segue un altro podio a Detroit, ma questa volta sul gradino più basso. Intanto la Ferrari ha scelto il successore di Villeneuve: si tratta del francese Patrick Tambay. Ancora una volta sul mondo delle corse grava la tragedia. Pironi conquista la pole nelle prove del Gran Premio del Canada, ma alla partenza brucia la frizione. Tutti i piloti riescono a schivare indenni la Ferrari del francese, meno la Osella di Riccardo Paletti, che presa in mezzo al caos piomba nel retrotreno della rossa numero 28: è un impatto terribile. I rottami della Osella prendono fuoco, mentre Didier, miracolosamente illeso, cerca di salvare Paletti dalle fiamme, ma ogni tentativo si rivela inutile: il pilota italiano è già morto. Con il muletto afflitto da problemi di accensione, Pironi chiude al nono posto. Una settimana dopo, durante prove private al Paul Ricard, la 126 C2 di Pironi subisce la rottura di una sospensione: ancora un terribile schianto a 280 Km/h e ancora tanta fortuna. Se la cava con una costola incrinata e qualche escoriazione. Per fortuna questa volta la scocca ha tenuto. Ancora dolorante per i postumi dell'incidente, a Zandvoort Didier brucia Arnoux e ha presto ragione di Prost, andando a cogliere una brillante vittoria. Ma è il secondo posto a Brands Hatch che lo proietta in testa alla classifica del campionato, consentendogli di sorpassare il vecchio ma sempre coriaceo John Watson. A Le Castellet, Didier porta il suo vantaggio a nove punti sull'inglese, mentre quello su Prost, terzo in classifica, resta quasi inalterato grazie alla disubbidienza di René che, infischiandosene degli ordini di squadra, coglie una vittoria ai danni del compagno di squadra. Si arriva ad Hockenheim: durante le prove piove a dirotto, ma Pironi gira su tempi incredibili ed irraggiungibili per gli avversari. La conclusione di molti è che i pilota francese stia guidando come un pazzo, ma in realtà la Ferrari numero 28 ha a disposizione nuove Good Year da bagnato che offrono un sensibile vantaggio rispetto al vecchio tipo. In quelle condizioni estreme l'errore è dietro l'angolo: Didier vede sopraggiungere la Williams di Daly alle sue spalle e si sposta a lato per lasciargli strada, credendo erroneamente che la pista sia libera. Trova però la Renault di Alain Prost: la Ferrari urta il retrotreno della vettura francese e decolla in aria, si capovolge tre volte su una distanza di 250 metri e si spacca in due. Prost è incolume, ma Didier è rimasto intrappolato nei rottami: perde molto sangue e urla disperatamente che lo tolgano di lì. Tra i primi a portare soccorso al francese c'è Nelson Piquet che, fermata la sua Brabham, libera dal casco il francese, ma accortosi della gravità delle ferite scappa via impressionato. Ne ha tutte le ragioni perché la scena è semplicemente terrificante. Ai soccorritori occorreranno venti minuti per estrarlo da ciò che resta della sua monoposto. Con entrambe le gambe spezzate, Didier viene ricoverato in una vicina clinica universitaria e resta sotto i ferri per cinque ore. Lascia il reparto di terapia intensiva dopo qualche giorno, ma la sua carriera è praticamente finita.

1981, GP Italia, D.Pironi

In quel momento Didier ha 39 punti in classifica: il titolo verrà vinto a sorpresa da Keke Rosberg con 44 punti ed una sola vittoria. Nonostante le gravi ferite, Didier non si da per vinto: vuole ritornare in Formula 1 e si sottopone ad un lungo percorso di riabilitazione che comprende una trentina di operazioni chirurgiche alle gambe. Nel 1986 riesce nuovamente a salire su una monoposto per un test: si tratta della poco competitiva AGS, ma qualche settimana dopo prova anche la Ligier. Per il 1987 si parla di lui alla McLaren, a fianco di Alain Prost, ma non se ne fa nulla e l'unica opzione che gli resta è un accordo per il 1988 con Gerard Larousse, che sta imbastendo un programma, in realtà assai povero, per entrare in Formula 1 con il proprio nome. Ma il ritorno alle corse automobilistiche non è l'unico sogno vagheggiato in quegli anni. Un'altra passione occupa i suoi pensieri: quella per il mare. Parallelamente alla sua attività di pilota, Didier si è occupato per lungo tempo dell'importazione in Francia di scafi da offshore Abbate e motori marini Lamborghini. Dopo l'incidente fonda una propria compagnia a Saint Tropez, la Euronautique Leader, che si occupa della costruzione, riparazione e preparazione di scafi da corsa. Nel 1986 l'azienda partecipa direttamente al campionato europeo offshore con tre scafi: un'Abbate 41, un Conquest 39 e un Cigarette 38, tutti motorizzati Lamborghini. Didier corre con il primo scafo. Ancora velocità, motori rabbiosi che urlano la loro potenza nell'aria, l'adrenalina del rischio e il rovescio della medaglia per chi ama flirtare con il pericolo: durante una gara in Spagna si frattura tre costole in un incidente. In vista della stagione '87 Pironi mette in campo uno scafo rivoluzionario per il settore: costruito interamente in fibra di carbonio e Kevlar, il Colibrì è la barca più leggera della sua categoria. Con questo audace progetto Didier da l'assalto al mondiale offshore, con il sogno di diventare campione del mondo della specialità. Lo affiancano nell'avventura Bernard Giroux, ex navigatore di Ari Vatanen, e Jean Claude Guenard, ex ingegnere Ligier. L'equipaggio diventa il favorito nella corsa al titolo, ma nelle gelide acque dell'isola di Wight, ancora una volta il destino attende Didier. Il Colibrì si mantiene agevolmente fra le prime cinque barche in corsa e lentamente risale la classifica fino al secondo posto, duellando testa a testa con il "Pinot di Pinot", ma a causa di un'onda generata da un'imbarcazione nei pressi, lo scafo di Pironi s'impenna in aria e cade rovesciato in mare a più di 170 km/h. La violenza dell'impatto non lascia scampo all'equipaggio. E' il tragico epilogo di una storia che forse, in alcuni momenti, avrebbe meritato esiti migliori. Didier non ha conquistato né il mondiale di Formula 1 né quello Offshore e per giunta la sua figura è rimasta legata a quel fattaccio di San Marino, oscurando una carriera dominata da una grande forza di volontà e da un profondo senso della sfida. Purtroppo, non sempre i grandi sognatori vedono realizzati i propri desideri.

Stefano Costantino

Tutti i nomi, i loghi e i marchi registrati citati o riportati appartengono ai rispettivi proprietari.
Tutti gli articoli, le fotografie e gli elementi grafici presenti in questo sito sono soggetti alle norme vigenti sul diritto d'autore; é quindi severamente vietato riprodurre o utilizzare anche parzialmente ogni elemento delle pagine in questione senza l'autorizzazione del responsabile del sito.

Graphic & Engineering by Fabio Carrera