AlfaRomeo Giulietta/Giulia Spider

L'amante italiana

Introduzione

Osservando da vicino la Giulietta Spider e perdendosi nelle sue linee morbide, mi son ritrovato con un bizzarro interrogativo che girava per la testa: moglie o amante? Pininfarina chiamava quella sua creatura "signorina", ma intendeva forse una ragazza da sposare, pura e casta che la sera sospira davanti allo specchio sognando un cavaliere ancora di là da venire? Troppo sfacciata la sua bellezza e troppa vitalità nel suo temperamento per essere così! Ma guardiamola questa bellezza che ha voglia di correre a perdifiato sulla strada, gettandosi alle spalle le miserie e i brutti ricordi della guerra. I lineamenti sono fini, aggraziati, e più si lascia correre l'occhio più si scopre che difetti non ne ha, tanto l'equilibrio delle sue parti è perfetto. Il viso ha un filo di trucco che dona alla sua grazia, ma il sedere chiama veramente le mani. Osserviamola affiancare al semaforo un'austera Donna Aurelia. La matrona, avvolta in un severo tailleur blu Lancia con volpe al collo e veletta calata sul viso, guarda dall'alto in basso la squinzia che mostra senza vergogna le sue provocanti forme, esaltate da un vestitino rosso piuttosto osé. La Giulietta si scopre e se ne frega della signora Aurelia. Lei vuole vivere, correre, divertirsi, andar per negozi, alle feste e, non appena scatta il verde, eccola bruciare con il suo piccolo "milletré" la più pesante "Madama": alla fine quelle che gridano tanto allo scandalo, è soltanto perché mangiano la polvere. Corre Giulietta, e delle sofferenze dell'omonima Shakespeariana non ne vuole nemmeno sentir parlare: più le strade della vita son tortuose e più lei si diverte, con quelle sue ruote attaccate all'asfalto che perdonano anche gli amanti un po' distratti. Con un carattere così, Giulietta poteva mai trasformarsi in un angelo dell'autorimessa? Ma nemmeno per sogno! Amante è stata ed amante è rimasta, anche oggi che non è più giovane. Gli anni si fanno sentire, ma la bellezza si è trasformata in un qualcosa di meno vano e più duraturo: in quella qualità indiscutibile che prende il nome di "fascino". Ed è con questo che fa girare la testa ancora a tanta gente.

Anonima lombarda fabbrica un po' di tutto

Alla fine della guerra la situazione dell'Alfa, come di tutta l'industria italiana, è a dir poco critica: gli impianti di produzione sono stati segnati profondamente dai bombardamenti, mancano le risorse per investire in un rilancio, ma soprattutto manca un mercato per l'automobile. Si ricomincia dai materiali per l'edilizia, primo settore a mettersi in moto nel lungo processo di ricostruzione, e dagli elettrodomestici che iniziano a diffondersi nelle case degli italiani. Dal 1946 riprende la produzione di motori marini, aeronautici e di autocarri. Nel 1949 un riassetto societario dell'IRI porta l'Alfa sotto l'egida della Finmeccanica e lentamente riprende anche la produzione automobilistica con la vecchia 2.300 Freccia d'Oro, una vettura affascinante e lussuosa che però mal si adatta alle esigenze e alle dimensioni del mercato postbellico. Occorre scendere di tono con un'auto più accessibile, pur mantenendo l'immagine di sportività e raffinatezza tecnologica che caratterizza il marchio: la nuova creatura si chiama 1.900 e va a porsi in diretta concorrenza con l'omonima Fiat e la Lancia Aurelia. Grazie all'acquisto di catene di montaggio americane e di macchinari speciali nel quadro degli aiuti previsti dal piano Marshall, il monte ore necessario alla produzione di una vettura passa da 240 a meno di cento. La 1.900 è un prodotto valido ed ottiene una notevole popolarità, ma per il costo elevato e per la sua cilindrata è ancora una vettura troppo elitaria che non consente i volumi di produzione necessari a far sopravvivere l'Alfa e neppure risponde ad un mercato che nel frattempo si è messo in moto e sembra presentare importanti opportunità. Nel 1951 parte il progetto "750", un numero che mette ansia alla Fiat, perché qualcuno lo collega immediatamente alla possibile cilindrata del nuovo modello, ma che in realtà non rappresenta altro che una sigla di progetto. Infatti, gli obiettivi tracciati dai dirigenti del biscione per l'Alfa del futuro portano in tutt'altra direzione: ciò che si vuole costruire è un'automobile di media cilindrata con un propulsore più piccolo del 1.900 ma potente. In secondo luogo si prevede una gamma articolata su più modelli per arrivare ad un mercato il più vasto possibile, ed il prezzo dovrà essere ovviamente contenuto. La direzione del progetto viene affidata all'ingegner Satta Puliga, coadiuvato dall'ingegner Rudolf Hruska, brillante tecnico proveniente dallo studio Porsche. Decisamente curiosa la storia che ha portato il progetto "750" ad assumere la denominazione definitiva di Giulietta. Le versioni degli storici al proposito sono piuttosto discordi: il noto giornalista Gino Rancati in un articolo comparso nel 1994 su Ruoteclassiche, riporta tre teorie principali. La prima vuole che l'autrice della felice associazione tra Giulietta e Alfa Romeo sia stata la signora De Cousandier, moglie dell'ingegnere poeta Leonardo Sinisgalli, consulente Finmeccanica per la pubblicità. La seconda porta ad una moda diffusasi in America durante quegli anni, che vede la sostituzione di una mera cifra numerica con nomi di personaggi o luoghi legati all'immaginario collettivo. Ma la più suggestiva rimane la terza, raccontata a Rancati dall'ingegner Carlo Garcea, tecnico Alfa dal 1935 al 1982: "Bisogna tornare indietro di alcuni anni, al momento in cui eravamo andati a Parigi con Jean Pierre Wimille e sei tecnici a presentare al Salon de l'Auto la 1.900. Quella sera il bravo pilota ci portò in un locale molto chic, in Boulevard des Capucins. Ci sedemmo ad un tavolo ed un principe russo, un esule che per guadagnarsi la giornata intratteneva i clienti improvvisando battute e poesie, venne da noi. Ci osservò con attenzione e poi disse, dopo un lungo silenzio: "Siete otto Romei e non c'è neanche una Giulietta." Scoppiammo a ridere, ma capimmo subito che quel nome femminile si coniugava alla perfezione con il nome della nostra fabbrica."

1300 Bialbero

Come si è intuito dalle linee guida poc'anzi illustrate, il motore rappresenta un elemento chiave del nuovo progetto. Il gruppo di tecnici guidato da Giuseppe Busso parte dall'esperienza accumulata con il precedente 1.900, tenendo ferma la scelta obbligata della distribuzione bialbero, che caratterizza i motori dell'Alfa fin dal 1914, quando comparve per la prima volta sulle vetture destinate alle competizioni. Per il monoblocco viene intrapresa la strada dell'alluminio: sui prototipi del 1.900 l'utilizzo di questo materiale aveva causato problemi di rigidità che portavano alla rottura dell'albero a gomiti e, alla fine, questa strada dovette essere abbandonata perché i vertici, considerato il ritardo di progettazione sui tempi previsti, premevano per la messa in produzione immediata del nuovo modello. Partendo da quel fallimento i tecnici Alfa costruiscono un monoblocco in alluminio di 1.100 cc, rinforzato da nervature esterne e già dimensionato per subire aumenti di cilindrata. Grazie a queste caratteristiche poche modifiche bastano per trasformarlo nel propulsore della Giulietta. La cilindrata passa a 1.290cc, mentre l'alesaggio di 74 mm e la corsa di 75 mm ne fanno un motore quasi quadro. Le canne smontabili dei cilindri sono in ghisa, l'albero motore è in acciaio stampato e dotato di contrappesi; le testate a due valvole per cilindro, invece, sono costruite in lega leggera, anch'esse smontabili e dotate di camere di scoppio emisferiche con candele al centro. Sempre per quanto riguarda la distribuzione, un'altra novità importante è costituita dal bicchierino flottante tra camma e stelo valvola per ridurre il caratteristico battito di funzionamento. Gli alberi a camme sono comandati da doppia catena, mentre una cinghia secondaria muove la ventola. Il raffreddamento è ad acqua a circolazione forzata, così come la lubrificazione: quest'ultima è garantita da una pompa ad ingranaggi collegata all'albero motore. La stessa sorgente muove anche lo spinterogeno. La nuova unità offre di base 53 CV a 5.200 giri/min., ma giocando sui rapporti di compressione e sull'alimentazione i tecnici del Portello arrivano ad ottenere 100 CV a 6.500 giri/min. senza compromettere l'affidabilità. In questo modo le prestazioni dei propulsori vengono diversificate sulla base dei modelli cui sono destinati: la Sprint riceve in origine la versione da 80 CV, adottando poi anche il propulsore da 90 CV per la Veloce. Identica sorte per la Spider, mentre per la berlina si sceglie un'unità più tranquilla da 53 CV, a cui si aggiunge poi la T.I. che può contare su 65 CV e conoscerà un successo maggiore della versione normale. Le unità sportive da 100 CV saranno invece destinate esclusivamente alle Sprint Speciali di Bertone e alle SZ di Zagato.

Dalla Sprint alla Spider

Nell'autunno del 1953 ci si accorge che la fase di progettazione sta andando troppo per le lunghe: nell'attesa di risolvere i problemi che affliggono la versione berlina, la prima che in teoria dovrebbe uscire, si decide di far debuttare la coupé che verrà poi denominata Sprint. Per la carrozzeria s'indice un concorso a cui partecipano Bertone, Ghia e Boneschi. Quest'ultimo esce subito di scena e la finale se la giocano i primi due: vince la proposta di Bertone, ma inizialmente la produzione della Sprint verrà appaltata ad entrambi per soddisfare le richieste. In effetti, il successo riscontrato dal nuovo modello, presentato alla stampa nell'aprile del 1954, va oltre ogni più rosea aspettativa. Mossa dal 1.300 in versione da 80 CV, la Sprint può vantare una velocità di punta di 165 km/h che la pone in concorrenza con coupé assai più blasonate. Mentre Bertone non sa più come fare per tenere dietro agli ordini della piccola coupé, al Salone di Torino del 1955 viene presentata la Giulietta berlina, dotata con gli stessi dispositivi meccanici della Sprint ma con un motore decisamente più tranquillo da 53 CV. Anche in questo caso l'accoglienza di pubblico e stampa specializzata è trionfale. Il successo della Giulietta non è un fenomeno limitato all'Italia, ma interessa l'Europa e varca perfino l'oceano, da dove arriva una stimolante proposta: l'idea di costruire una versione spider della Giulietta va infatti attribuita alla Hoffman Motor Car Inc., importatore Alfa Romeo negli Stati Uniti, tradizionale mercato di riferimento per vetture scoperte. Per conferire maggiore interesse alla proposta, la Hoffman assicura l'acquisto di un primo lotto di 600 vetture e a Milano qualcuno inizia a sognare la California. Com'era già accaduto per la carrozzeria della Sprint, si indice un concorso a cui partecipano Bertone e Pininfarina: la proposta del primo, pur essendo interessante ed innovativa per certi aspetti, come il frontale che precorre quello della Duetto, è viziata da alcuni eccessi, soprattutto nella coda dotata di pinne un po' troppo generose. Il progetto di Pininfarina, invece, fa dell'equilibrio tra le parti il suo vero punto di forza. Il frontale è tutto giocato sulla presenza della grande calandra, ai cui lati si aprono le prese d'aria e i paraurti sdoppiati, con il cofano percorso longitudinalmente da un sottile profilo cromato che rompe la lamiera nuda. La fiancata è liscia e snella, piuttosto bassa nell'aspetto: unica concessione un leggero profilo cromato sotto la portiera, da ruota a ruota. Dietro l'abitacolo trovano origine due pinne che scendono in leggera parabola nei piccoli gruppi ottici posteriori. La coda è caratterizzata dal paraurti a due rostri e da una goccia in ceramica che funge da maniglia per il portabagagli e reca il logo dell' AlfaRomeo. Sul prototipo costruito nel 1955 il parabrezza è di tipo panoramico, ma verrà poi sostituito con uno più convenzionale per problemi di deformazione dell'immagine. Idem per i finestrini laterali, inizialmente a scorrimento e incorniciati in un telaio di metallo cromato, poi cambiati con un tipo a scomparsa e un piccolo deflettore triangolare. Di conseguenza vengono aggiunti i pannelli porta che sul prototipo non esistevano, eliminando la spartana corda che fungeva da maniglia interna. Anche l'estetica del cruscotto subisce qualche modifica: nell'esemplare pre-produzione i tre principali indicatori rotondi erano incastonati dentro nicchie in rilievo, con la centrale, destinata al contagiri, più prominente. Nella versione di serie tale elaborata soluzione viene abbandonata e i tre strumenti si trovano allineati sullo stesso piano, a tutto vantaggio della visibilità. Via anche il volante tipo Nardi per lasciare il posto ad un largo tondo in bachelite nera a due razze, con una corona cromata interna per azionare il clacson. La leva del cambio, invece, sui primi esemplari venduti è al volante, poi sostituita con una più convenzionale cloche sul pavimento. Fatto piuttosto curioso, il cassetto porta oggetti non ha coperchio: segno dei tempi beati. L'immagine di vettura agile e veloce, sottolineata così efficacemente dalle linee tracciate da Pininfarina, trova conferma nella struttura e nella meccanica, del tutto simile a quella della Giulietta Sprint. Il motore da 1.290cc offre 80 CV a 6.300 giri/min. e una coppia di 11 Kgm a 4.000 giri/min., grazie ad un carburatore doppio corpo Solex 35 APAI-G e ad un rapporto di compressione pari a 8,5:1. Queste caratteristiche, unite ad un peso di soli 830 Kg, permettono alla Spider di raggiungere una velocità massima di 165 Km/h, tale da mettere in imbarazzo vetture assai più blasonate. Ad una simile base è associato un cambio in blocco con il motore a quattro rapporti + RM, dotato in origine di sincronizzatori Borg Warner, poi sostituiti con i Porsche. L'ultima marcia è in presa diretta, mentre la frizione è del tipo monodisco a secco con mozzo elastico. Il moto al differenziale posteriore, costruito in alluminio con coppia conica e scatola in lega leggera, viene trasmesso da un albero in due tronchi con supporto centrale. All'estremità del secondo tronco si trovano due giunti cardanici, mentre all'uscita del cambio c'è un giunto elastico. Le sospensioni anteriori indipendenti adottano uno schema a quadrilateri trasversali ed ammortizzatori telescopici, mentre al posteriore c'è un classico ponte rigido collegato al telaio con un triangolo e puntoni longitudinali inferiori. Sia sull'anteriore, sia sul posteriore le molle sono a flessibilità variabile, accoppiate ad ammortizzatori telescopici idraulici della Girling. Unito ad un telaio in acciaio scatolato molto rigido, il sistema di sospensioni garantisce sempre un comportamento ottimale e una tenuta di strada sincera. Lo sterzo è a vite e rullo ed offre un diametro di sterzata di 10 metri. I freni sono a tamburo sulle quattro ruote con alette elicoidali di raffreddamento: in genere offrono una frenata sicura, ma se sottoposti ad uno sforzo prolungato possono soffrire di fading. Il freno a mano agisce sulle ruote posteriori.

Evoluzione Spider

La produzione della Giulietta Spider inizia nel 1955 ma i primi esemplari sono destinati agli Stati Uniti: per acquistarla i clienti italiani ed europei devono attendere fino al marzo del 1957. Nell'autunno dello stesso anno debutta la versione Veloce, caratterizzata da un motore più potente. Nello specifico, il carburatore Solex viene sostituito con due Weber 40 DCO3 orizzontali doppio corpo: il rapporto di compressione arriva così al valore di 9,1:1, la potenza raggiunge i 90 CV a 6.500 giri/min., mentre la coppia sale fino a 12 Kgm a 3.900 giri/min. Nonostante un leggero incremento del peso da 830 a 855 Kg, la Veloce tocca i 180 Km/h. La Spider rimane invariata fino al 1959, quando debutta quella che è a tutti gli effetti una seconda serie: il passo sale da 2.200 a 2.250 mm, unificandosi con quello della Sprint Speciale, la coupé creata da Bertone per la clientela sportiva. Il motore tipo 750 viene sostituito con il 101, caratterizzato dalla pompa della benzina posta lateralmente anziché anteriormente e da un diverso filtro dell'aria. I fanali posteriori hanno inoltre le luci di retromarcia bianche e catadiottri separati, mentre sulle fiancate compaiono gli indicatori di direzione, in linea con il nuovo Codice della Strada. Un'altra piccola novità è costituita dallo sportellino che va finalmente a chiudere il vano portaoggetti. Nel 1961 una serie di modifiche di dettaglio porta sul mercato la terza serie: le luci posteriori vengono aggiornate e sono più grandi, il vano capote è decorato con un profilo cromato e con un copricapote in similpelle. Le due cerniere vengono integrate con i ganci per il tettuccio di tela, mentre sul cruscotto vengono aggiunti l'accendisigari, il posacenere e lo specchietto con scatto antiabbagliante in luogo del vecchio fumé. Infine, la parte superiore della plancia è ora imbottita. In realtà all'Alfa si sta studiando una revisione ben più radicale della Spider, che porterà la piccola Giulietta a diventare Giulia, nel nome di una nuova e più potente meccanica.

Giulia Spider 1.600

Se il 1.300 è stato uno degli elementi caratterizzanti del progetto Giulietta, lo stesso si può dire del 1600 per la Giulia. Concettualmente il nuovo propulsore non si discosta dal precedente né per i criteri di progettazione né per le caratteristiche tecniche. Va inoltre tenuto conto del fatto che la nuova unità deve poter essere prodotta utilizzando gli stessi macchinari con cui si produceva il vecchio 1.300. L'idea è ancora quella di partire da un monoblocco in alluminio, sovradimensionato per consentire successivi aumenti di cilindrata e potenza senza compromettere l'affidabilità. Con un alesaggio di 78mm e una corsa di 82mm i tecnici Alfa ottengono una cilindrata complessiva di 1.570 cm3. La distribuzione è ovviamente bialbero con due valvole per cilindro e per la prima volta nella storia dell'auto di serie, un propulsore viene equipaggiato con valvole di scarico contenenti sodio nella cavità dello stelo: tale materiale portato in temperatura diventa liquido, favorendo lo smaltimento termico del metallo. Una soluzione costosa che però permette di preservare le valvole da un'usura eccessiva: in effetti i tecnici del Biscione calcolano che alla temperatura di 820°C su una valvola normale, corrispondano soli 590°C su una valvola al sodio. Alimentato da un carburatore Solex 32 PAIA 5, la nuova unità è caratterizzata da un rapporto di compressione pari a 9:1 e fornisce 92 CV a 6.200 giri/min. Il cambio è un 5 marce + Rm, vera rarità sulle spider dell'epoca, mentre la frizione è monodisco a secco. Oltre al motore e al cambio, dalla nuova Giulia la spider riceve anche l'impianto frenante, caratterizzato da tamburi anteriori a tre ceppi in luogo dei due presenti sulla Giulietta. Dopo i primi 5.600 esemplari arriveranno i freni a disco anteriori, elemento ormai imprescindibile per una vettura di così elevato profilo. Di dettaglio le modifiche alla carrozzeria: la più significativa è senz'altro la sottile presa d'aria che percorre orizzontalmente il cofano in luogo del fregio cromato longitudinale della 1.300. Inoltre i fori di raffreddamento dei cerchi sono ovali anziché vagamente rettangolari, mentre la cipolla sul cofano posteriore non è più in ceramica ma in plastica, accompagnata a lato dalla scritta 1.600. Leggermente differenti anche i rostri del paraurti anteriore. Per quanto riguarda gli interni, il datato volante a doppia corona e due razze, che ricorda tanto gli anni '50, è sostituito con un più attuale e sportivo volante a tre razze in alluminio con corona in bachelite. Sempre in un ottica modernizzatrice, cambia anche la grafica dei tre principali strumenti circolari sul cruscotto. Nel complesso il peso sale a 905 Kg (50 in più della Giulietta) ma in virtù di un motore più potente la Giulia raggiunge i 172 Km/h Dal 1964, in attesa della nuova spider poi conosciuta come Duetto (che debutterà nel 1965), viene riproposta la versione Veloce, equipaggiata con il propulsore della Giulia TI Super, che grazie ad una coppia di carburatori doppio corpo Weber 45 DCOE 14 e ad un rapporto di compressione pari a 9,7:1, fornisce 112 CV a 6.500 giri/min., in grado di spingere la vettura fino ai 180 Km/h., identico risultato della vecchia Veloce 1.300, ma raggiunto con maggiore tranquillità.

Vizi, virtu' e pettegolezzi

Per comprendere come la Giulietta "1.300" si comporti su strada, facciamo riferimento alla pubblicazione di Bruno Alfieri "Alfa Romeo Giulietta Spider". La prima osservazione dell'autore riguarda la razionalità del posto guida: la strumentazione è a portata d'occhio, caratterizzata da uno stile classico che privilegia la funzionalità. Leva e cambio sono ben posizionati e fruibili dal guidatore, mentre la disposizione dei pedali invita al punta tacco, pratica diffusa tra i "manici" dell'epoca ed in certe condizioni necessaria per governare la vettura. Per le persone di statura elevata può esservi qualche problema di adattamento a causa del pavimento alto. La prima emozione giunge tirando il pomello di accensione sul cruscotto, che mette in moto il quattro cilindri: il suo piacevole borbottio invita a mettersi in viaggio e a tirare le marce per sentirlo finalmente cantare. Una volta partiti "L'immediata sensazione è di grande equilibrio delle masse sulle quattro ruote, e di piacevole leggerezza nella manovra dello sterzo." La frenata, in generale, è potente grazie al corretto dimensionamento dei tamburi che tuttavia, se sollecitati troppo a lungo, possono portare a problemi di fading. In sostanza, Alfieri individua una doppia natura nella Spider: alle alte velocità la Giulietta si muove con sicurezza, senza lasciare mai nell'incertezza il guidatore. Il comportamento in curva è sostanzialmente neutro, a meno di esagerare con il gas. Semmai, nei veloci curvoni a sinistra si segnala un accenno di derapage, imputato al peso del guidatore in assenza di passeggero, che squilibra il carico sugli ammortizzatori. Alle basse velocità " la Spider rivela la sua seconda personalità, quella di dolce vettura da passeggio. I rumori aerodinamici sono contenuti anche a vettura scoperta e si sente solo, oltre allo scarico, il rotolamento dei pneumatici. Il motore è caratterizzato da un elevato consumo di olio (circa 1,5 Kg ogni mille chilometri), vizio comune ad altre vetture dell'epoca, da tenere d'occhio con un controllo del livello ogni 3/400 km, badando a non eccedere nel riempimento del carter. Notevole anche il consumo della benzina, circa 10 litri per 100 Km. Il cambio può presentare impuntamenti in prima, retromarcia e qualche volta in seconda. Per via della presa diretta, in quarta marcia la lancetta del tachimetro deve essere parallela a quella del contagiri. La capienza del bagagliaio è limitata dalla presenza della gomma di scorta, ma consente comunque di alloggiare tranquillamente due valigie medie. Inesistente, invece, lo spazio dietro ai sedili . Alfieri segnala anche un buon funzionamento dell'impianto di riscaldamento nelle giornate più fredde, anche se "il vero spiderista dovrebbe viaggiare sempre con la capote aperta, d'estate e d'inverno, e restare imperterrito sotto i nuvoloni più neri. Del resto accendendo il riscaldamento al massimo e procedendo ad almeno 80 km/h, pioggia e neve non piombano sugli occupanti". Per quanto riguarda il comportamento su strada della Giulia Spider, facciamo riferimento a "Ruoteclassiche" n° 152 del 2001. La rivista prova uno dei primi 5.600 esemplari con freni anteriori a tamburo: si fa sentire il motore più potente, ma anche il cambio a cinque marce, che permette di mantenere medie elevate senza affaticare il propulsore. Grazie ai tamburi a tre ceppi la frenata guadagna in potenza, "soprattutto se si ha l'accortezza di farla precedere da due pompate sul pedale". Per quanto riguarda la tenuta di strada, le doti della 1.600 rimangono sostanzialmente integre rispetto alla più piccola 1.300. Si segnala soltanto un fastidioso ondeggiamento del retrotreno su fondi sconnessi, imputabile alla perdita di elasticità dei tamponi di gomma che fissano il ponte alla scocca. Si rileva inoltre un certo gioco dello sterzo che si può eliminare con la registrazione periodica attraverso l'apposita vite. A proposito di vizi: la capote è unanimemente conosciuta come un vero rompicapo ed il proprietario dell'esemplare del nostro servizio ce ne spiega il misterioso funzionamento: in primo luogo è necessario aprire gli sportelli e reclinare in avanti ai sedili, quindi sganciare il copricapote e portare il telaio fino ai sedili anteriori. A questo punto occorre fissare la base posteriore del telo ai fermi posti all'estremità del cofano bagagli, per poi sollevare il telaio all'altezza del parabrezza. Quindi si provvede ad agganciare la capote al parabrezza e alla carrozzeria attraverso i bottoni a tourniquet. Se qualcuno ha problemi ad aprire correttamente lo sdraio da spiaggia, si astenga dall'acquistare una vettura simile. Acquisto che va comunque sempre ponderato con attenzione: Alfieri suggerisce di comprare un esemplare in non perfette condizioni ma originale, piuttosto che una vettura già restaurata ma con grossolani errori. Anche perché la forte somiglianza tra le varie serie della Spider, ha portato molti a semplificarsi la vita sostituendo pezzi non conformi alle specifiche della vettura in possesso. Addirittura si parla di Giuliette trasformate in Giulia con un trapianto di 1.600. Altri errori di restauro comuni riguardano la selleria, che deve essere in similpelle e non in pelle, la tappezzeria in tessuto differente dalla lana o tonalità sbagliate nei colori. E' comunque una macchina che vale la spesa necessaria all'acquisto e al restauro: la sua storicità non è solo legata all'età, ma anche a quanto essa ha rappresentato nell'immaginario collettivo degli italiani. Semplice ma allo stesso tempo tecnologicamente avanzata, simboleggia la nuova primavera di un paese che si butta alle spalle la sconfitta, le distruzioni della guerra e risorge dalla miseria e dalle macerie vivendo un intenso e spensierato momento di sviluppo economico e culturale. Questa è la vera storicità della Giulietta Spider.

Stefano Costantino

Un ringraziamento del tutto particolare va al nostro amico Giorgio, che non solo ci ha messo a completa disposizione la sua vettura ma che ha anche contribuito in maniera determinante al recupero della documentazione cartacea. A lui il più sincero augurio di vivere altre mille giornate indimenticabili in compagnia della sua splendida "amante italiana".

  • Cfr. Alfieri B., Alfa Romeo Giulietta Spider, collana "La Collection".
  • Cfr. Lottero M. L., Oldani F., Alberi Genealogici, in "Ruoteclassiche" n° 96, febbraio 1996.
  • Cfr. Rancati G., Costole del Portello, in "Ruoteclassiche" n° 85, giugno 1995.
  • Cfr. Derosa G., Quella voglia io me la son tolta, in "Ruoteclassiche" n° 152, luglio/agosto 2001.
  • Cfr. Rancati G., Deganello E., I miei primi quarant'anni, in "Ruoteclassiche" n° 76, settembre 1954.
  • Cfr. Deganello E, Armonia italiana, in"Ruoteclassiche" n°166, ottobre 2002.

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