AlfaRomeo 158

Nata per vincere

Introduzione

A partire dal 1934, con l’introduzione della nuova formula Grand Prix, il monopolio nelle gare automobilistiche divenne sempre più marcatamente appannaggio delle vetture tedesche. Mercedes ed Auto Union, grazie ai finanziamenti statali concessi da Hitler (450.000 marchi tedeschi circa) ma soprattutto al genio dei loro tecnici, misero in pista delle vetture rivoluzionarie; Nibel e Wagner per Mercedes e Ferdinand Porsche per Auto Union studiarono vetture tra loro concettualmente opposte, ma simili nella finalità. Leggerezza e rigidità del telaio, sospensioni indipendenti e motori di grossa cilindrata: ecco i segreti dei loro gioielli. Tolte le ovvie difficoltà incontrate all’esordio, che favorirono gli ultimi successi dell’ Alfa Romeo (Avus con Moll, Montlhéry con Chiron), le auto tedesche non conobbero rivali sia nel periodo della Formula del peso (1934-37) che in quello della Formula a compensi (1938-39). Così l’Alfa Romeo, che fino ad allora aveva recitato la parte della dominatrice, si ritrovò a rincorrere gli avversari senza peraltro riuscire mai a rappresentare un vero pericolo per i tedeschi. Con la Tipo B P3, rinominata semplicemente “Tipo B” a partire dal ‘34, si chiuse un ciclo difficilmente ripetibile che, dall’esordio avvenuto il 5 giugno del 1932 a Monza, fino al 6 luglio 1934, giorno della vittoria del G.P. di Francia, l’aveva vista vincere in 22 gare su 26 cui aveva partecipato. Ci fu poi ancora una vittoria, ottenuta da Nuvolari al Nurburgring nel 1935, ma in quel caso si trattò di un vero e proprio miracolo di Tazio. Si aggiungano anche le due vittorie nel ’36 sempre con Nuvolari, questa volta alla guida della nuova “8C”, sul cui telaio venne poi montato anche un 12 cilindri, ma il divario con le frecce d’argento rimase impressionante (la 12C erogava 370 cavalli, contro i 480 della MercedesW25E). Le cose peggiorarono ulteriormente nel ’37, quando la Mercedes mise in pista quel gioiello che fu la W125, che arrivava ad erogare 645 CV mentre l’Alfa con la sua 12C riveduta, raggiungeva al più i 430 CV. Nel frattempo si erano create una solida fama in tutto il mondo le “litro e mezzo” più comunemente denominate “voiturette”, paragonabili alle più recenti F2 o all’attuale F3000. In questa categoria si era da tempo concentrata la Maserati, che grazie all’indovinatissima 4C recitava la parte della prima donna. Già nel 1937 la Targa Florio fu riservata a vetture di questa cilindrata , e nel biennio 37-38 venne accettata la loro iscrizione al G.P. di Tripoli al fianco delle ben più potenti Grand Prix (con una classifica a parte). Gli organizzatori italiani, per tentare di interrompere l’egemonia tedesca almeno in casa propria, pensarono allora di organizzare le loro corse più importanti per queste vetture; l’Alfa , inserita nell’IRI dal governo fascista era già al lavoro per progettare una monoposto 1500 cc, capace di riportarla al successo. Iniziava così l’avventura della più longeva F1 della storia: l’Alfa Romeo 158.

Il Progetto

Nel maggio del 1937 iniziò lo studio della “voiturette” di casa Alfa. Differentemente da quanto succedeva per le vetture Grand Prix, la cui realizzazione avveniva interamente nelle officine di Milano, per la 158 si demandò la fase di studio e di assemblaggio alla Scuderia Ferrari, conservando al Portello la sola realizzazione di parte della componentistica. La responsabilità del progetto venne ovviamente data a Enzo Ferrari mentre a capo dello staff tecnico Orazio Satta volle l’allora trentacinquenne Gioachino Colombo, allievo di quel Vittorio Jano che da ormai dieci anni si occupava della progettazione delle vetture della casa di Arese. Arrivato a Modena, Colombo esternò a Ferrari il desiderio di progettare una vettura a motore posteriore, una sorta di Auto Union in miniatura, ma quest’ultimo, tradizionalista com’era, liquidò la questione con la celebre frase: “Sono sempre stati i buoi a tirare il carro!”; l’esperienza Bugatti degli anni ’50 darà ragione al Drake, dimostrando che con i mezzi dell’epoca la sistemazione del motore nel posteriore non era vantaggiosa, ma al sottoscritto piace pensare che la mente di Giochino avrebbe dato vita ad una vettura ancora più efficace di quanto non fu la 158. Il telaio si costituì di due profilati di 122x32mm (anche se altre fonti indicano 122x35mm) realizzati in lamiera saldata da 15mm, uniti tra loro ad una distanza di circa 450 mm da quattro elementi: una traversa anteriore, sei supporti della coppa motore, traversina porta cuscinetto intermedio dell’albero di trasmissione e otto bulloni collegati al gruppo differenziale. La carrozzeria era in lamiere di alluminio rivettate su quattro centine fissate al telaio. Inizialmente si optò per una linea molto snella (a tal punto da non consentire la sistemazione degli specchietti all’interno dell’abitacolo), con griglia anteriore molto inclinata, sospensioni anteriori a vista e apice della coda piuttosto basso, tanto da non poter fungere da poggiatesta per i piloti; quest’ultima caratteristica limitava la capacità del serbatoio sistemato nella coda a non più di 135 litri, mentre quello sistemato nell’abitacolo alla destra del pilota ne conteneva 35. Peso di quanto finora descritto 510 kg. Le sospensioni erano costituite all’anteriore da due bracci obliqui e paralleli a movimento longitudinale con raggio di oscillazione pari a 125mm, montati verso le ruote con perni sferici e verso il telaio con perni cilindrici su rullini, mentre al posteriore vi era un ponte a bracci oscillanti. Il gruppo molla constava sia all’anteriore che al posteriore di una balestra montata trasversalmente a due appoggi sul telaio (uno per lato a 1/3 della loro lunghezza) con guida al centro per mezzo di un cursore verticale, onde evitare uno spostamento laterale della balestra stessa; la connessione tra ruota e balestra era garantita da un tirante articolato alle estremità, collegato all’anteriore sul braccio superiore della sospensione e al posteriore sul semiasse. Su tutte e quattro le ruote erano montati sia dei dischi a frizione (per ammortizzare le masse alterne) che degli ammortizzatori idraulici, interagenti all’anteriore con il braccio superiore. L’anteriore era inoltre provvisto di barra stabilizzatrice con diametro 8mm collegata ai due bracci inferiori della sospensione. Analizzato lo schema sospensivo della vettura è d’obbligo una specificazione: non è difficile reperire articoli sulla 158 nei quali il sistema con balestre trasversali viene decantato come una vera e propria novità. In questa sede non voglio assolutamente negare questa definizione, ma pare doveroso correggerla; a rappresentare una novità non era il sistema in se (già ideato da Vittorio Jano ed applicato nel 1935 sul ponte posteriore della 8C) quanto la scelta di adottarlo su entrambi gli assi, in modo da ridurre le masse oscillanti anche sull’anteriore. Il sistema frenante era costituito da un tamburo in duralluminio a due cilindri per ogni ruota, con diametro interno di 325mm e larghezza dei ceppi (in elektron) pari a 50mm, sul quale venivano piantati a caldo degli anelli di acciaio; il tutto era comandato da un circuito idraulico a pedale agente su tutte le ruote. La vettura era fornita anche di freno a mano di tipo meccanico che agiva sulle sole ruote posteriori. In duralluminio erano anche i cerchi delle ruote, uniti al mozzo attraverso 72 raggi tangenti; il calettamento era di tipo Whitworth con misura 18 pollici per pneumatico 18x600. Lo sterzo era costituito da una scatola fissata al prolungamento in altezza del basamento motore contenente vite senza fine e ruota elicoidale con rapporto 1:10; inoltre il settore sterzo era a tiranti indipendenti.

Il Motore

Lo studio del motore per la 158 fu alquanto particolare; l’Alfa in quel periodo aveva infatti bisogno di un nuovo motore per le vetture Grand Prix e al tempo stesso un’unità più piccola per la nuova voiturette. Per tentare di ridurre i costi si decise di produrre un motore base per la 158, per poi raddoppiarlo onde dar vita ad un motore per la 316; a tal fine si rese necessaria una architettura base a cilindri in linea, in modo che affiancandone un’altra identica si ottenesse una sezione a V. Vennero perciò progettati un’otto cilindri in linea e un sedici cilindri a V, dei quali sarebbe stato presentato prima quest’ultimo, dal momento che debuttò al G.P. di Tripoli del 1938 (15 maggio). Ma veniamo ora ad una descrizione il più accurata possibile dell’unità a 8 cilindri: il motore era costituito da due blocchi di alluminio fusi, imbullonati tra di loro oltre che con il basamento, e muniti di camicie di acciaio secco. L’alesaggio era di 58 mm con una corsa di 70, cosicché la cilindrata complessiva era di 1478,81 cm3. La coppa dell’olio e il basamento erano in elektron, quest’ultimo con cappelli di banco smontabili e diviso nella linea centrale e, come abbiamo già detto fissato al telaio attraverso dodici bulloni da 8mm. La testa era in silumin, divisa in due blocchi da quattro cilindri l’una (ricalcava quindi la costruzione del biblocco) fissati al basamento per mezzo di venti prigionieri da 10mm; le camere (nelle quali erano avvitate le canne cilindro) erano di forma emisferica, con valvole inclinate di 100° per consentire il posizionamento della candela nel centro. Questo tipo di camera era stato scelto in quanto permetteva di adottare valvole piuttosto grandi grazie alle quali si poteva aumentare il numero di giri e conseguentemente la potenza specifica, anche se la forte inclinazione di queste ultime faceva aumentare il rapporto “superficie delle pareti-volume contenuto” (più questo valore è alto più aumenta la trasmissione di calore al liquido di raffreddamento). Le valvole avevano le stesse dimensioni sia per l’aspirazione che per lo scarico, con diametro interno di 30mm ed esterno di 36, comandate da due alberi a camme in testa ruotanti su cinque supporti. Il comando era diretto tramite piattelli avvitati sul gambo della valvola (mancavano quindi le punterie) e scodellini regolabili, mentre il richiamo era garantito da due molle, una interna da 30kg e l’altra esterna da 60kg (a valvola aperta e con alzata di 8mm). L’albero motore era in acciaio cementato, in modo da fornire una maggiore resistenza a fatica, con otto collari di diametro 45mm per cuscinetto di biella; i cuscinetti erano costituiti da due gusci in bronzo rivestiti internamente in metallo antifrizione, detto più comunemente metallo bianco e costituito come segue: 84-88% di stagno, 7-9% di antimonio, 4-6% di rame e 0,75% di piombo. I cuscinetti di banco, dello stesso materiale dei precedenti, erano ovviamente nove (con più di 2 cilindri il numero di cuscinetti di banco è uguale a quelli di biella più uno) con i supporti aventi diametro 53mm. Una delle più importanti novità applicate alla 158 fu il posizionamento del treno di distribuzione sull’anteriore per poter ridurre le dimensioni dell’albero motore; prima di allora infatti si era soliti inserirlo, sui motori ad otto cilindri in linea, tra i due blocchi da 4 cilindri mentre nei motori plurifrazionati si preferiva posizionarlo posteriormente. Il comando avveniva per mezzo di ingranaggi cilindrici che azionavano a destra la pompa dell’acqua e il magnete, al centro due pompe olio di recupero e a sinistra la pompa olio di mandata. Sempre sulla sinistra un altro ingranaggio comandava un compressore monostadio a due lobi di 125mm con un rapporto di 1,32 volte i giri del motore e capace di erogare una pressione di 17.6psi; il collegamento tra treno e compressore avveniva per mezzo di un’alberino a piolini su gomma che si innestava sull’albero azionante, mentre il profilo dei lobi era un epicicloidale corretto dall’Alfa identico a quello montato sulla 6C 1500SS nel 1928. Per migliorare l’alimentazione dei compressori pensava una presa dinamica, ricavata sul cofano poco più avanti dell’abitacolo, che i piloti azionavano manualmente. Per la lubrificazione abbiamo detto che era utilizzato un sistema a circolazione forzata tramite tre pompe con il serbatoio da 14 litri sistemato all’interno dell’abitacolo, alla sinistra del pilota. Il circuito di raffreddamento era ad acqua con pompa centrifuga e radiatore con capacità di 14 litri. Il liquido veniva immesso nei blocchi attraverso 8 ingressi sulla destra e veniva espulso attraverso 4 “prese” nella testa dei cilindri. Il volano era fissato al motore e presentava delle scanalature interne per accogliere 4 dischi di acciaio al carbonio; questi conducevano altri 4 dischi in duralluminio sul mozzo dentato dell’albero frizione. Il pedale di quest’ultima era fissato alla calotta di elektron che la copriva e comandava il cuscinetto per il giunto di trasmissione. La lunghezza del motore partendo dalla distribuzione fino alla frizione era di 765mm, con un peso di 135kg. Dalla frizione partiva l’albero di trasmissione, diviso in due tronchi e munito di cuscinetto al centro ( posto alcuni centimetri più avanti rispetto alla leva del cambio). Il cambio era a 4 velocità con comando laterale e la scatola che lo conteneva era solidale con il ponte posteriore; il gruppo era a presa diretta sul primario, solidale con il pignone conico della prima coppia di riduzione. L’innesto a dentature frontali per la terza e la quarta era scorrevole sul primario, mentre sul secondario scorreva l’ingranaggio della prima e della seconda.

La Storia

L’esordio della vettura può essere fatto risalire al 5 maggio 1938 sul circuito di Monza con alla guida Nardi, ovvero soli tre mesi prima di quello che sarebbe stato il suo debutto in corsa. Ovviamente questo test era stato preceduto da numerose prove al banco per il motore, la prima delle quali il 19 marzo 1938 negli stabilimenti di Modena; i risultati forniti erano stati davvero incoraggianti, con 180CV erogati a 6800 giri/min. Nel frattempo era stata ultimata la costruzione della vettura, che tuttavia non vide la luce a Modena, ma nei nuovi stabilimenti di Milano; la struttura destinata ad Alfa Corse al Portello era infatti stata ultimata e la sua guida era stata affidata a Enzo Ferrari, con la Scuderia Ferrari acquistata e messa in liquidazione. Nei mesi di giugno e luglio i test si ripeterono con assiduità, al fine di smussare i problemi di gioventù della monoposto, ma proseguirono anche gli studi in officina grazie ai quali il motore raggiunse i 195CV a 7000 giri/min.; finalmente arrivò agosto e con esso il debutto. Alla Coppa Ciano vennero iscritte tre 158, affidate a Emilio Villoresi (fratello di Luigi), Clemente Biondetti e Francesco Severi. Nel corso delle prove le vetture di Arese mostrarono subito di essere molto rapide sul dritto, ma durante la gara furono seriamente minacciate da Luigi Villoresi con la sua Maserati 6CM; tuttavia quando al 15 giro questi fu costretto al ritiro, per le 158 si creò l’opportunità di una magnifica tripletta, rovinata solo dall’uscita di pista di Severi che lo costrinse al settimo posto. Villoresi e Biondetti finirono primo e secondo divisi da soli 2.2 secondi, mentre il terzo posto fu ottenuto da Marazza su Maserati 4CM giunto a 1’00.6; considerando che la corsa si era disputata su 25 giri, ciò implica che la differenza fosse di circa 2.5 secondi al giro. La prima vittoria della 158 era datata 7 agosto 1938! A questo punto tutti si aspettavano che le 158 sbaragliassero la concorrenza anche nelle restanti gare dell’anno, ma tutta una serie di problemi legati alla carburazione e alla lubrificazione le costrinsero al ritiro o a risultati deludenti. Fortunatamente le cose andarono meglio a Monza, nel corso del GP di Milano, dove su 4 vetture iscritte due finirono la gara ai primi due posti. I guasti subiti nel corso del primo anno di attività non preoccuparono lo staff tecnico del reparto Alfa Corse, che studiò alcune modifiche da apportare al circuito di lubrificazione, concernenti soprattutto una maggiorazione dei cuscinetti. La stagione 1939 si aprì con l’ambitissimo GP di Tripoli, giunto alla sua XIII edizione e disputato sul velocissimo circuito ricavato attorno alle saline di Mellaha, dove vennero iscritte sei 158 che si sarebbero dovute giocare tra loro la vittoria. Quando però si stavano chiudendo le iscrizioni, la Mercedes richiese di far partecipare due sue vetture; inaspettatamente nell’inverno (tra il 18 novembre e i primi di aprile) i tecnici di Stoccarda avevano dato alla luce una voiturette denominata W165 che rassomigliava in tutto e per tutto alla W154, tranne ovviamente che per le dimensioni e la cilindrata del motore. Se la sorpresa fu regina nel corso delle iscrizioni, a farla da padrona quando le vetture scesero in pista fu l’incredulità. Questi piccoli gioielli mostrarono subito incredibili doti di velocità (grazie a un motore capace di erogare 254CV) e di maneggevolezza, sfruttate al massimo da Lang e Caracciola che per l’occasione si prestarono a condurre monoposto di cilindrata più bassa. L’evento meriterebbe di essere raccontato attraverso un film tanto fu entusiasmante; la seconda delle due vetture venne infatti ultimata a bordo della nave che le trasportava in Libia e non ottennero la pole perché Neubauer decise di non farle partecipare alla seconda sessione di prove per non affaticarle eccessivamente. Già alla partenza Lang beffò Luigi Villoresi, autore del miglior tempo con la nuova Maserati 4CL (aerodinamica), involandosi verso una vittoria che nessuno avrebbe più messo in discussione, mentre Caracciola impie gò 7 giri per aver la meglio sull’italiano, poi costretto al ritiro. Le Alfa non riuscirono mai ad impensierire i rivali ed anzi, già più lente di 3 secondi al giro rispetto alle avversarie, furono costrette al ritiro a causa dell’ebollizione dell’acqua nel circuito di raffreddamento e vapor-lock nelle tubazioni della benzina; in parte la colpa fu dei tecnici inviati a Tripoli che abbassarono la pressione del circuito di raffreddamento da 1 a 0,5 atmosfere. L’unica che arrivò al traguardo fu quella di Emilio Villoresi, terzo a 7’47” dal vincitore. Sfortunatamente per l’automobilismo la favola delle W165 finì lo stesso giorno in cui era iniziata (7 maggio); nel settembre dello stesso anno ebbe inizio la seconda guerra mondiale e la Germania dovette rinunciare a far partecipare le sue vetture alle varie competizioni, anche se per un breve periodo continuò lo sviluppo di questa voiturette, portata a 278CV grazie ad un sistema di alimentazione a doppio stadio. Come scriveva Lurani negli anni ‘70, ad esse si adatta benissimo il “Veni, Vidi, Vici” di Giulio Cesare. Ma torniamo alla 158. La disfatta di Tripoli costrinse gli uomini dell’Alfa ad un incessante periodo di studi e di test sul circuito di Monza; si decise di modificare il circuito di raffreddamento facendo in modo di far entrare in diretto contatto il liquido refrigerante con le canne d’acciaio e introducendo direttamente acqua fredda sulle teste dei cilindri; inoltre, memori di quanto accaduto in Libia, aumentarono la pressione d’esercizio del sistema. Furono anche riprogettati il sistema di lubrificazione e la linea della vettura, che dal luglio del ’39 si presentò con quelle forme con cui la vettura appare oggi e grazie alle quali si poté aumentare la capacità del serbatoio posteriore a 150 litri. Lo scarico, singolo e posizionato inizialmente in basso, venne raddoppiato e fatto passare al di sopra della sospensione posteriore. Tutte queste migliorie si rivelarono da subito vincenti; nel corso dei restanti appuntamenti della stagione la vettura vinse tutte le gare cui partecipò e fu addirittura capace di insidiare le più potenti Grand Prix nel corso del GP di Svizzera, gara aperta ad entrambe le categorie. Dopo aver vinto la batteria riservata alle voiturette, Farina si rese protagonista sotto una pioggia torrenziale di una partenza eccezionale che lo portò dalla sesta posizione sullo schieramento alla seconda alle spalle di Lang. Per sette lunghi giri Caracciola e von Brauchitsch sulle altre due Mercedes non riuscirono ad avere la meglio sull’agile 158 e la loro umiliazione ebbe termine solo quando smise di piovere e la pista divenne meno viscida. In quel momento Nino aveva accumulato soli 17 sec. di ritardo da Lang e alla fine la classifica vide l’italiano al sesto posto assoluto e vincitore della categoria voiturette, risultato che sancì la competitività della vettura di Arese. Definire quest’annata positivamente però sarebbe patriottistico. Dopo la beffa di Tripoli altri due eventi avevano funestato l’attività Alfa Corse: nel corso dei test a Monza era deceduto Emilio Villoresi (19 giugno) e durante le prove della Coppa Acerbo a Pescara stessa sorte era occorsa ad Giordano Aldrighetti. Inoltre in seno al gruppo era andata nascendo un’accesa rivalità tra Enzo Ferrari e Wilfredo Ricard (responsabile della sezione Studi Speciali), culminata con le dimissioni del primo; anche Colombo venne allontanato dal progetto, mandato a rinforzare l’equipe per le vetture Grand Prix. Durante la pausa invernale vennero costruite sei nuove monoposto denominate 158/40, utilizzando come base gli esemplari precedenti (ne erano rimasti quattro), e visto il potenziale espresso nel corso dell’anno da Mercedes e Maserati, ci si preoccupò di potenziare il motore della 158, introducendovi delle bielle ruotanti su 26 rullini portanti a pieno riempimento del diametro di 2,95mm e 26 distanziali del diametro di 2,90mm, della stessa lunghezza delle bronzine in metallo antifrizione (20mm) e funzionanti con una pressione dell’olio di 5,5-6kg/cmq; con tutto ciò si riuscì a fargli toccare i 225CV a 7.500giri/min. Quattro di queste vetture scesero in pista nel 1940 al GP di Tripoli, pronte a sfidare le Mercedes W165 che però, come già detto, non vennero iscritte. Se la rivincita in pista non poteva aver luogo, l’unica consolazione poteva venire da una sfida contro il tempo; l’obiettivo divenne allora battere i tempi fatti registrare l’anno prima dalle frecce d’argento. Alla fine si riuscì a fare persino meglio: Farina non solo si aggiudicò la gara con un tempo decisamente inferiore a quello fatto registrare da Lang l’anno precedente (1h54’16”40 contro 1h59’12”30) ma arrivò addirittura ad abbassare la media che lo stesso pilota aveva realizzato nel ’38 a bordo di una vettura Grand Prix (206,347 contro 205,108km/h). Fu questa l’ultima vera competizione automobilistica che precedette la seconda guerra mondiale. Lo sviluppo della vettura proseguì fino al 1942, con la costruzione tra l’altro di una 158 equipaggiata di ponte De Dion, in pratica un’anticipazione di quello che sarebbe stato lo schema della 159. In quello stesso anno le cinque 158 e tre motori 512 vennero riposti nei garage di Monza e quando l’anno successivo l’esercito tedesco requisì l’autodromo, la direzione Alfa fece nascondere le voiturettes (completamente montate) in una fabbrica di formaggio a Melzo, da cui non sarebbero uscite che nel 1946. L’attività riprese agli inizi del ’46, quando fu creato un quadrunvirato (Satta, Colombo, Nicolis, Guidotti) che gestisse l’Alfa Corse. Data la scarsità di mezzi del momento si decise all’unanimità di utilizzare le vecchie 158, coscienti anche del fatto che di Mercedes e Auto Union Grand Prix nessuno avrebbe più sentito parlare. La vettura fu rivista utilizzando materiale di recupero (si arrivò ad impiegare 3-4 monoblocchi scartati prima della guerra perché presentavano delle screpolature) e nonostante ciò i risultati non tardarono a mostrarsi: lavorando sui giochi di montaggio, sulle libertà di scorrimento e selezionando un combustibile adeguato (86% di alcol metilico e 14% di benzina), si poté far scendere in pista il 9 giugno dello stesso anno a St. Cloud due 158/40 capaci di erogare 240CV. Per la cronaca come piloti furono scelti J.P. Wimille e Farina, che per la prima metà della gara dominarono ampiamente ma successivamente furono costretti al ritiro a causa del distaccamento della frizione. Al GP delle Nazioni corso il mese successivo a Ginevra, l’Alfa portò un’altra novità: due delle quattro 158/40 iscritte furono equipaggiate con un compressore a doppio stadio che elevava la potenza a 254CV a 7500giri/min. Il quadrunvirato decise di pilotare la corsa, facendo in modo che a vincere fosse una delle due vetture potenziate in modo da convincere la direzione allo stanziamento di nuovi investimenti, cosa peraltro non difficile se si considera che le altre due iscritte erano del tipo Tripoli 1940. Prima della fine dell’anno le 158 vennero iscritte anche al GP di Torino e a quello di Milano, tutte equipaggiate con il compressore a due stadi, centrando una doppietta e una tripletta, ma il pensiero era ormai rivolto ad una nuova versione: la 158/47. Questa nuova evoluzione comportò l’allargamento della valvola di aspirazione di bassa pressione che portò il motore a sviluppare 310CV a 7,500giri/min. Questo aumento di potenza costrinse i progettisti a rivedere il tipo di lavorazione effettuata sul basamento, aumentandone tra l’altro la resistenza a rottura fino a 6,3 tonnellate/cmq, in modo da ridurre le spaccature provocate sulle bronzine di banco. Inoltre le bielle vennero accoppiate tra i tappi dei cuscinetti dell’albero a gomiti e i blocchi. Esteriormente venne modificata la presa d’aria e si ritornò al singolo scarico, anche se venne mantenuto il posizionamento sopra la sospensione posteriore. Differentemente da quanto si potrebbe pensare, la 158/47 non esordì nel 1947: la versione utilizzata fino all’anno precedente si rivelò ancora estremamente competitiva, tanto da vincere tutte e quattro le gare cui fu iscritta nel corso della stagione. Si preferì allora svolgere tutta una serie di test per limare quei pochissimi difetti di gioventù che la nuova versione avrebbe potuto presentare. L’esordio fu così posticipato al GP di Svizzera 1948, dove vennero fatte scendere in pista nel corso delle prove due 158/47 con alla guida Varzi e Senesi. Si è soliti dire “debutto bagnato, debutto fortunato”, ma non fu così per la nuova nata: a pochi minuti dalla fine delle prove, svoltesi sotto la pioggia, Varzi prese la pista nel tentativo di migliorarsi, ma giunto nel tratto misto in discesa perse il controllo della vettura e finì con il rovesciarsi in un fosso. Quando giunsero i primi soccorsi per l’italiano non c’era più nulla da fare: nell’urto aveva battuto la testa contro il terreno morendo sul colpo. Anche nel successivo GP di Francia la nuova monoposto venne utilizzata solo in prova, con Wimille che tentò inutilmente di battere il record sul giro stabilito da Lang nel 1938, mentre per il debutto in gara si dovette attendere il GP d’Italia (sempre con Wimille), svoltosi sul circuito del Valentino a Torino. In quell’occasione si assistette ad una vera e propria lezione di guida da parte di Jean Pierre, capace di distanziare di un giro il secondo classificato, ma già in qualifica si era potuto osservare il divario esistente rispetto alle vecchie 158 a due stadi, che nell’occasione furono costrette al ritiro. Tre 158/47 furono schierate al successivo GP di Monza e puntualmente ottennero le prime tre posizioni; il quarto posto fu conquistato da Taruffi su una 158/40, fatto che sancì ulteriormente la superiorità di questa vettura rispetto alla concorrenza. Poi per tutto l’anno successivo delle vetture di Arese non si seppe più nulla: la ristrettezza di fondi aveva costretto l’azienda a concentrarsi sullo studio della 1900, tagliando così i fondi al reparto corse. Si continuò tuttavia ad apportare modifiche alla vettura, soprattutto per quanto riguardava il motore, arrivando a toccare i 350CV a 8.500giri/min. Questo miglioramento ritornò utile nel 1950, quando la Federazione Internazionale organizzò il primo Campionato del mondo di Formula 1 (anche se la specificazione “mondo” era puramente formale e tale sarebbe rimasta fino al 1953 con l’introduzione del GP d’Argentina), evento al quale l’Alfa non volle sottrarsi: l’idea di poter essere la prima casa automobilistica a fregiarsi del titolo di campione del mondo convinse chi di dovere a rilanciare il progetto 158. Si dovette ricostituire il parco piloti, dal momento che dopo Varzi erano deceduti in circostanze diverse anche Trossi e Wimille; si decise all’unanimità di far rientrare in squadra Farina e di affiancargli il veterano Fagioli, mentre meno unanime fu la scelta del terzo pilota nella persona di Juan Manuel Fangio, sul quale molti nutrivano forti perplessità. Fu proprio a lui che venne dato il compito di aggiudicarsi la prima gara della stagione, svoltasi sul circuito di San Remo. Il secondo appuntamento della stagione fu il GP d’Inghilterra, svoltosi sul circuito di Silverstone, e corrispose alla prima prova del Campionato del mondo. Al via furono schierate quattro 158/47 da 350 CV, la quarta delle quali condotta da Reg Parnell in sostituzione dell’infortunato Sanesi, che non ebbero alcun problema nel monopolizzare le prime posizioni in qualifica e in gara; in quell’occasione non vennero infatti iscritte le Ferrari, uniche vetture del momento a poter creare qualche problema alle Alfa Romeo, mentre le Maserati e le Talbot erano davvero troppo obsolete tanto che la prima giunse al traguardo con due giri di ritardo. La gara visse un’intenso scontro tra Farina e Fangio culminato con un testacoda dell’argentino alla Stowe e la successiva rottura di una biella, mentre Fagioli si limitò a non perdere il contatto; Parnell dal canto suo dovette adattarsi allo stile di guida della 158 e ciò gli impedì di impensierire i compagni di squadra, anche se non gli impedì di ottenere una indiscussa terza posizione. Al GP di Monaco fu Fangio a vincere senza alcun problema, aiutato nell’occasione da una carambola al Bureau de Tabac nel corso del primo giro che causò il ritiro di sette vetture (comprese le altre due 158) e da alcuni problemi occorsi ad Ascari con la sua Ferrari 125, mentre al GP di Svizzera fu ancora doppietta per Farina e Fagioli. Ma più passava il tempo più la concorrenza si faceva agguerrita: nel successivo GP del Belgio la Talbot di Sommer si permise di interferire nella cavalcata solitaria delle 158 finendo poi a soli 2’ dal vincitore mentre la Ferrari fece esordire un 3.300cc. aspirato che si mostrò competitivo. Al GP di Francia e a quello di Bari l’Alfa continuò il suo cammino solitario ma al GP delle Nazioni vennero iscritte due Ferrari da 4.100cc. che nel corso delle prove ottennero il secondo e terzo tempo dietro a Fangio. Dati questi risultati al Portello si cominciò a lavorare per migliorare la vettura, ma ci si rese conto che il progetto 158 cominciava ad essere obsoleto e necessitava di migliorie che non fossero soltanto relative al motore. All’International Trophy di Silverstone Farina corse e vinse con una 158/47 il cui motore raggiungeva i 380CV, e lo stesso tipo di vettura venne utilizzata da Farina e da Fangio nell’ultima gara della stagione, decisiva per l’assegnazione del titolo mondiale: il GP d’Italia. Contro di loro furono schierate due Ferrari da 4.500cc. pilotate da Ascari e Villoresi, con il primo capace di insediarsi persino in prima posizione per due giri. Alla fine comunque la 158 si dimostrò ancora una volta la macchina da battere vincendo con Farina e con Fagioli al terzo posto preceduto dalla Ferrari di Serafini, mentre Fangio fu costretto ad un doppio ritiro (prima con la sua vettura poi con quella passatagli da Taruffi); Nino si laureò Campione del mondo con 3 punti di vantaggio sull’asso argentino e 6 su Fagioli, mentre il primo dei non-alfisti fu Rosier con soli 13 punti. Tuttavia i risultati delle ultime gare avevano convinto lo staff dell’Alfa Corse a stanziare nuovi finanziamenti per l’anno successivo; al via della stagione ’51 si sarebbero alternate sia le vecchie 158 provviste di un motore tipo 159 sia le 159 vere e proprie, ma in tutti i casi assunsero quest’ultima denominazione. Il GP d’Italia 1950 rappresentò, quindi, la gara d’addio delle 158; nello stesso circuito sul quale aveva esordito si chiudeva con l’ennesima vittoria la storia della più longeva Formula 1 di tutti i tempi, colei che tredici anni prima era “nata per vincere”.

Marco Zanello

Un particolare ringraziamento al Centro di Documentazione del Museo dell'Automobile "Carlo Biscaretti di Ruffia" di Torino per aver fornito il materiale di ricerca e che ha gentilmente concesso di fotografare le vetture. Si ringrazia, inoltre, l'archivio dell'AlfaRomeo per aver concesso la pubblicazione di alcune immagini di loro possesso.

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