Wolf WR1

Lupus in fabula

Introduzione

Sembra effettivamente una favola la storia di un team nuovo di zecca, che si presenta in un mondiale di Formula 1 e vince la prima gara con una macchina che non ha proprio nulla di rivoluzionario. Le tante, forse troppe, prime donne di un campionato poco avvezzo a rotture dell'ordine costituito, diventano verdi di bile nel vedere l'ultimo arrivato sistemarsi comodamente in cima al gradino più alto del podio e bere lo champagne della vittoria, mentre gente che milita da ben più tempo nella massima serie continua a sorseggiare bibite gasate dalla lattina. Bollicine anche quelle, ma da gastrite. Proprio una favola. Ma poi neanche tanto se si va ad incastonare l'episodio nella vita straordinaria e misteriosa di un personaggio come Walter Wolf. Tanto misteriosa che i suoi contorni si perdono nella leggenda e stendere una breve biografia del "lupo" è un'impresa non facile, un po' perché le informazioni disponibili sono scarse e contraddittorie, e un po' perché ci si ritrova a grattarsi la zucca e ad esclamare "Ma come diavolo è possibile!". Alla fine del 1976 Walter Wolf presenta la nuova squadra e parla ancora una volta dell'amore per il suo paese: "Il Canada è stato molto buono con me per quasi vent'anni e sono molto orgoglioso di portare la bandiera canadese. Considero questo team canadese e sono il primo canadese a mettere in piedi un team di Formula 1." Ma Walter Wolf non è canadese di origine, essendo nato in Austria e più precisamente a Graz nel 1939. La sua famiglia si trasferisce però ben presto nel sud della Germania, dove il mestiere di muratore del padre e la guerra non consentono al piccolo Walter un'infanzia molto agiata. Si arrangia raccogliendo e rivendendo pezzi di metallo e caricatori vuoti per pagarsi gli studi. Diventa meccanico di aerei, ma non deve passarsela bene perché a diciotto anni, a bordo di un vecchio bastimento e con nove dollari in tasca, attraversa l'Atlantico. Se fin qui era nebbia, adesso compaiono anche le paludi: i più saltano direttamente al Canada, ma pare che il primo approdo di Walter Wolf siano gli Stati Uniti, dove riprenderebbe il suo lavoro di meccanico per aerei per poi passare a lavorare per conto di un'impresa geologica in Artico. Ricompare poi a Montreal dove fa il maestro di sci e nel 1961 viene dato come meccanico in una concessionaria Mercedes. Attirato dalle sirene di 25 centesimi in più di paga, Walter passa dalle automobili all'edilizia, trovando il tempo di partecipare come riserva della squadra di discesa canadese alle Olimpiadi di Innsbruck del 1963. Nel 1964, con 25.000 dollari prestatigli da un banchiere compagno di sciate, compra una società edilizia sull'orlo del fallimento. L'impresa diventa particolarmente redditizia in concomitanza con l'Expo Montreal e nel 1968 Wolf è già in grado di cedere l'attività per avventurarsi nel mondo del petrolio, inizialmente con una società che si occupa di perforazioni off-shore e di immersioni. Con la crisi petrolifera del 1973 la sua attività si espande anche al commercio delle eccedenze di petrolio grazie a buone relazioni con la corte saudita. Pare che goda anche di amichevoli rapporti con il Primo Ministro Canadese Pierre Trudeau e con il cancelliere della Germania Helmut Schmidt. Le sue connessioni con il mondo della politica non si fermano però qui, perché nel 1970 sposa la figlia del Sindaco di Montreal. Nel 1975 Wolf compie una prima incursione nel mondo dell'automobile acquisendo una quota nella proprietà della Lamborghini. Nello stesso periodo entra in contatto con il mondo della Formula 1 tramite l'ingegner Gian Paolo Dallara, che lo presenta a Frank Williams: l'inglese ha molto entusiasmo ma è a corto di soldi, dopo essere stato piantato prima dallo sponsor Politoys e poi dalla Iso Rivolta. Wolf fornisce un primo soccorso al team manager inglese comprando per suo conto alcuni motori Cosworth. Nell'ambiente si sparge la voce di un possibile progetto per il 1976 che coinvolgerebbe Wolf, Williams e la Lamborghini. Della partita sarebbe anche Jacky Ickx, che a metà stagione '75 ha separato il suoi destini da quelli della Lotus ed è in cerca di un volante. L'operazione va effettivamente in porto, ma senza la partecipazione della Lamborghini, i cui azionisti non considerano appropriato rischiare in un progetto così ambizioso vista la già pessima salute finanziaria della società. Wolf e Williams si mettono in società e recuperano materiale dalla Hesketh e dalla Embassy - Hill, i cui vertici sono tragicamente morti in un incidente aereo. Dalla Hesketh arriva anche Harvey Postlethwaite, brillante direttore tecnico della squadra dell'eccentrico Lord ed autore della monoposto 308, che nel 1975 ha colto brillanti risultati con James Hunt al volante. Wolf vorrebbe mettere sotto contratto anche il pilota inglese, ma Hunt ha già un impegno con la McLaren, che lo porterà al titolo nel 1976. Viene imbastito un programma molto ambizioso, ma anche piuttosto salato per il miliardario canadese, che deve anche saldare i debiti pregressi di Frank Williams: si parla di un paio di milioni di dollari, in cambio di una parte del team e del suo nome scritto in oro su una livrea blu scuro. Tanti soldi anche per un uomo che dichiara di valere cento milioni di dollari. C'è da credere che una persona che ha scalato il successo con rapidità impressionante come Walter Wolf, nutra grandi ambizioni per un progetto in cui deve buttare così tanti quattrini. Le cose cominciano male e finiscono peggio: la 308C ribattezzata FW05 è una macchina che mostra soluzioni interessanti come la forma delle pance laterali e la posizione dei radiatori, ma non è certo irresistibile quanto a prestazioni. A questo va poi aggiunta una gestione un po' caotica da parte del team Williams, senza contare la folla di piloti che prende il volante della vettura: Jacky Ickx, Michel Leclere, Chris Amon, Arturo Merzario, Warwick Brown, Hans Binder e Hasami Kuwashima. Wolf non ci mette molto a liquidare il team manager inglese e a rifondare il team: la sfida con la Formula 1 e troppo complessa ed affascinante perché un vincente come lui possa resistervi.

Formula fai da te

Per garantirsi una squadra competitiva, Wolf convince il progettista Harvey Postlethwaite a seguirlo nella nuova avventura e strappa a Colin Chapman il fidatissimo Peter Warr. L'inglese è l'uomo a cui è affidata la gestione quotidiana del team Lotus, ma nelle ultime due stagioni le cose non sono andate molto bene e Colin acconsente alla partenza del prezioso collaboratore. Quando vorrà, Peter potrà tornare in Lotus, come effettivamente farà. In concomitanza con il Gran Premio di Monza del 1976 scoppia la bomba dell'ingaggio di Jody Scheckter per la cifra astronomica di 100.000 sterline. Qualcuno comincia a considerare Walter Wolf un eccentrico miliardario che sta stravolgendo il mercato con fiumi di petrodollari: un comportamento che ovviamente piace poco. In realtà, la storia delle 100.000 sterline è una bufala messa in giro da certa stampa perché, come il miliardario canadese spiegherà poi, il contratto di Scheckter è indicizzato sulla base dei risultati che ottiene: più vince, più guadagna. Se poi il sudafricano dovesse conquistare il titolo, Wolf assicura che Jody diventerà il pilota più ricco della Formula 1. La scelta del pilota sudafricano rimane comunque un azzardo: sicuramente è molto maturato rispetto agli esordi in McLaren, quando sorprese positivamente per le sue prestazioni velocistiche ma altrettanto negativamente per il comportamento in pista quantomeno avventato. Nel corso della sua carriera è riuscito a raccogliere un bottino di quattro vittorie, di cui l'ultima conquistata con la rivoluzionaria Tyrrell P34 a sei ruote, ma ci si domanda ancora se la sua maturità sia tale da consentirgli di battersi validamente per il titolo mondiale. Dal canto suo Scheckter, in qualità di unico pilota della squadra, si ritroverà sulle spalle buona parte della responsabilità sui risultati ottenuti in pista, non potendo contare sull'aiuto di un compagno né in gara, né durante lo sviluppo della monoposto: considerando che la Wolf è un'organizzazione appena nata, anche il pilota sudafricano si è assunto una buona dose di rischi. Quei soldi promessi dal petroliere canadese Jody dovrà sudarseli. Il nuovo team composto da una trentina di persone si mette alacremente al lavoro e l'8 novembre del 1976, al Royal Lancaster Hotel di Londra, la stampa può finalmente ammirare la nuova monoposto battezzata WR1. Abituati ai voli pindarici di Colin Chapman, alle continue sperimentazioni della Ferrari o alle sparate più pubblicitarie che tecniche di qualche team di secondo piano, la nuova creatura di Postlethwaite viene definita unanimemente con un solo termine: convenzionale. Il telaio è una monoscocca con ordinate in magnesio, costruita con largo uso di titanio per contenerne il peso e caratterizzata dalla sua forma a cuneo , con la parte posteriore più alta e larga dell'anteriore e il robusto rollbar ad arco dietro la testa del pilota. Alla monoscocca è fissato il classico 8 cilindri Cosworth (il migliore dei mondi possibili senza l'appoggio diretto di una casa automobilistica) che con i suoi 485 CV a 10.500 giri/min comincia ad avere il fiato veramente corto rispetto ai dodici cilindri di Ferrari, Alfa Romeo e Matra. Accoppiati al propulsore inglese una trasmissione Hewland FGA400 a 6 marce + RM e una frizione Borg & Beck. La sospensione anteriore è a doppi triangoli sovrapposti con ammortizzatori outboard, mentre al posteriore figura un triangolo inferiore con bilanciere superiore, ammortizzatori esterni e barra antirollio: nulla che possa far correre brividi di ammirazione per l'ingegnosità dimostrata. I dischi freno anteriori, montati in posizione outboard, sono della Girling con pinza singola, mentre quelli posteriori vengono forniti dalla Lockheed e sono montati in posizione inboard, ai lati del cambio. La veste aerodinamica è stata studiata in undici ore nella galleria del vento del centro M.I.R.A. per la ricerca e lo sviluppo dell'industria automobilistica inglese, con il preciso obiettivo di esaltare la velocità di punta della monoposto per compensare la mancanza di cavalli nel motore. Il risultato è accurato, più vicino come filosofia alla serie T della Ferrari che non alla McLaren M23 o alle Lotus degli ultimi anni: il corpo vettura largo e dalle linee morbide, alla ricerca di una deportanza dalle superfici; il muso a scalpello che, scavato ai lati della scocca e alto agli estremi per schermare le ruote anteriori, accoglie anche il piccolo radiatore dell'olio. Quelli dell'acqua, invece, sono alloggiati longitudinalmente, leggermente inclinati, davanti alle ruote posteriori per minimizzare la resistenza all'avanzamento. Molto curato l'anteriore, nella parte inferiore del telaio, dove le superfici risultano scavate e plasmate per pulire il flusso d'aria. Curiosamente non c'è airscope e il propulsore respira liberamente attraverso gli appositi filtri. La carrozzeria è costruita in compositi con rinforzi in Kevlar, ed è questo forse l'unico punto in cui si può gridare alla rivoluzione: i tecnici assicurano che pesa solamente 9 kg, la metà di una carrozzeria in fibra di vetro. Il peso complessivo della vettura a vuoto risulta così di 575 Kg, senza aver dovuto concedere nulla alla rigidità torsionale del telaio ed esaltandone invece le doti di maneggevolezza. Anche sulla nuova vettura viene proposta la livrea nera con le scritte in oro del Walter Wolf Racing, già presente l'anno prima sulle Williams e che ora rende il petroliere canadese l'unico costruttore della Formula 1 ad autosponsorizzarsi. Per il momento non sono previsti altri sponsor e l'unica concessione sono gli adesivi con la bandiera canadese piazzati sulle ali. Lascia perplessi la decisione di non approntare nell'immediato un secondo telaio: se Scheckter dovesse compromettere la WR1 in un incidente in prova, rimarrebbe a piedi, a meno di un autentico miracolo da parte dei meccanici. La WR1 viene sviluppata anche con l'aiuto del pilota neozelandese Chris Amon, associato al miliardario canadese nel programma Amon-Wolf per la Can Am, e già a dicembre la vettura compare con un muso completamente diverso da quello visto alla presentazione: via la complessa struttura a scalpello, che stava entrando ormai in disuso, sostituita da due profili alari convenzionali . Ora il radiatore dell'olio anteriore è raffreddato da una piccola presa d'aria rettangolare sul nuovo musetto e il flusso d'aria viene espulso da una larga apertura più in alto, in linea con la soluzione già adottata dalla Lotus 77 del 1976.

Due anni per sognare

A gennaio parte ufficialmente il mondiale 1977 e la Wolf non figura nemmeno tra i possibili sfidanti per il titolo: tutti gli occhi sono puntati sulla McLaren Campione del Mondo di James Hunt, sempre la cara e vecchia M23 in attesa della nuova M26 e sulle Ferrari 312 T2 di Lauda e Reutemann. Possibili outsider le Brabham Alfa BT45B di Pace e Watson e le Lotus Mk78 di Andretti e Nilsson. Le prove del Gran Premio di Argentina, prima tappa del mondiale, non sembrano far altro che confermare le previsioni: Hunt in pole a fianco di John Watson. Schekter è solamente undicesimo, con un motore che stenta inspiegabilmente a prendere tutti gli usuali 10.500 giri/min del Cosworth, fermandosi a quota 9.600. Postlethwaite individua il problema nel posizionamento della pompa del carburante, solitamente inclinata sotto il motore, e decide di portarla dietro al propulsore. Il primo protagonista della corsa è il caldo intenso ed insopportabile, che giocherà un ruolo importante sulla tenuta fisica dei piloti e sugli pneumatici. "Wattie" brucia Hunt alla partenza e tenta d'involarsi alla testa della corsa. Scheckter si sbarazza velocemente della Shadow di Tom Price e con passo costante si mette in marcia verso le vette della classifica. Le gomme iniziano presto a logorarsi sotto l'effetto del caldo e i primi a risentirne sono i piloti che hanno pestato di più sull'acceleratore nei primi giri: Watson, Hunt, Andretti, Lauda, Reutemann... Soltanto la Brabham di Carlos Pace e la Wolf di Jody non sembrano soffrire: il brasiliano della Brabham si porta in testa, mentre Scheckter continua la sua costante progressione, favorito da alcuni ritiri. Inevitabilmente i due vengono ai ferri corti, ma Pace sta soffrendo un calo fisico per il gran caldo e apre la porta alla monoposto del sudafricano che, incredulo per l'incredibile risultato che sta per ottenere, s'invola sicuro e fresco come una rosa verso il traguardo, con 43" secondi di vantaggio sulla vettura del brasiliano e sulla Ferrari di Reutemann. Le condizioni di gara sono state così selettive che soltanto sette macchine risultano classificate e proprio per questo motivo l'exploit della Wolf non viene preso sul serio. Si parla di fortuna e di congiunture favorevoli che hanno propiziato un'insperata quanto rocambolesca vittoria. E infatti, quasi a conferma di queste voci, nel successivo Gran Premio del Brasile Scheckter paga dazio: qualificatosi male con la quindicesima posizione in griglia, viene tradito dal suo motore durante la gara. L'exploit Wolf pare definitivamente archiviato. Ma in Sud Africa il lupo torna a far sentire il suo terribile ululato: mentre Hunt firma la sua terza pole stagionale, Scheckter infila finalmente una qualifica decente piazzandosi al quinto posto. Al via della corsa Jody prende il treno di Lauda, partito come un fulmine, bruciando Depailler e Pace per ritrovarsi così in terza posizione. Hunt intanto combatte con la Ferrari di Niki per la prima posizione, ma deve cedere alla manifesta superiorità dell'avversario, che pare incontenibile. Al 18° giro anche Scheckter decide di rompere gli indugi e attaccare l'inglese alla prima curva dopo il traguardo (Crowthorne Corner): Hunt non la piglia bene e fa una decisa opposizione non esitando a prendere a ruotate la nera Wolf, ma non è decisamente giornata per lui e deve inchinarsi al volere di Jody. Primo Lauda, secondo Scheckter, anche se con qualche patema d'animo nelle fasi finali della corsa per il pericoloso avvicinarsi di un arrembante Depailler con il suo "monopattino" a sei ruote. Durante la corsa perde la vita Tom Pryce in un drammatico incidente in cui travolge un imprudente commissario di pista che aveva attraversato la pista per portare soccorso alla seconda Shadow di Zorzi. Pochi giorni dopo la Formula 1 perde anche Carlos Pace, vittima di un incidente aereo. Con l'angoscia nel cuore per due piloti che non ci sono più, il Circus torna sul continente americano per disputare il Gran Premio di Long Beach dove Scheckter ottiene la terza posizione in griglia alle spalle di Andretti e Lauda. Durante le prove il sudafricano anticipa inconsapevolmente il futuro fermandosi al box Ferrari, più vicino del suo, per farsi verificare il dado di una ruota. Al via il poleman Lauda sbaglia e il sudafricano ne approfitta, ma non riesce ad allungare sulla Lotus dell'americano che lo tallona costantemente. Il ferrarista rimane sornione alle loro spalle, in attesa di qualche evento che sblocchi la situazione. L'immagine delle due vetture nere che si inseguono sul cittadino californiano rimarrà tra le più celebri nella storia del circuito e contribuirà a risvegliare interesse per la Formula 1 negli Stati Uniti, anche e sopratutto perché a vincere sarà l'idolo italo americano Mario Andretti. Davvero una beffa per Scheckter che, dopo aver praticamente dominato la corsa con la maturità che ci si attendeva finalmente da lui, a pochi giri dal termine si ritrova con il pneumatico anteriore destro che perde lentamente pressione per una piccola foratura e con il motore che fuma in maniera preoccupante. E' un attimo perché la Lotus di Andretti ne approfitti per involarsi alla testa della corsa, inseguito da Lauda che si è trovato servito su un piatto d'argento l'occasione pazientemente attesa. Scheckter è comunque terzo e trova il coraggio di ammettere che "Comunque Mario è un gran pilota e meritava la vittoria. Mi è stato alle costole e non sono stato capace di allontanarmi più di 50 metri da lui. Bravo Mario!" Il successivo Gran Premio di Spagna sarà meno glorioso per il pilota sudafricano, ma ugualmente fruttuoso. Finalmente è a disposizione il nuovo telaio WR2 (la numerazione stabilita dal team non tiene conto del modello ma soltanto del numero di telaio), caratterizzato da un passo leggermente più lungo per cercare di contrastare il cronico sottosterzo della WR1. La soluzione non sembra rivelarsi molto efficace, perché in prova la Wolf palesa una precaria aderenza, che obbliga Jody ad una guida spettacolare, con la macchina di traverso in tutte le curve, ma poco efficace in termini di cronometro: alla fine riesce a strappare il quinto tempo mentre la pole va ad Andretti con una Lotus che improvvisamente ed inspiegabilmente sembra letteralmente volare. Contro il bolide dell'italo americano non c'è nulla da fare nemmeno in gara e agli altri non restano che le briciole: Schekter mantiene il quarto posto pizzicato tra lo scatenatissmo Watson e Jochen Mass, e tutto sommato potrebbe andare bene così vista l'usura delle sue gomme. Ma l'irruenza gioca un brutto tiro a "Wattie", che per un attimo perde la sua Brabham regalando il terzo posto a Scheckter, posizione che il sudafricano dovrà difendere con le unghie dagli attacchi della McLaren di Mass, litigando per giunta con una frizione alla frutta. Nei giorni del Gran Premio a Montecarlo non si sa dove stia il tavolo verde, se nei casinò della città o sulla striscia di asfalto che disegna il circuito più famoso del mondo. La prima incognita del Gran Premio è data dall'arrivo dei nuovissimi Cosworth Mag con parti in magnesio: sulla carta la nuova unità pesa 16 Kg in meno e ha qualche cavallo in più, ma è difficile pensare che basti a colmare il gap con i dodici cilindri di Matra, Alfa Romeo e Ferrari. La Wolf, per esempio, non ci crede e continua con il vecchio propulsore. In fondo si può anche pensare che sul cittadino di Montecarlo tanti cavalli non siano poi così importanti rispetto ad una vettura ben bilanciata con un elevato carico aerodinamico e trazione... Infatti Watson, propulso dal dodici cilindri della sua Brabham, si prende la pole, proprio davanti a Scheckter. Tutto e il contrario di tutto: al via la mandria di cavalli scatenati dal suo piede un po' troppo esuberante frega lo scozzese. Le ruote posteriori della sua Brabham slittano furiosamente mentre Jody è ormai avanti. Watson reagirà incollandosi come un francobollo all'ala posteriore della Wolf, bussando, implorando e bestemmiando per trovare un varco che Jody si guarderà bene dall'aprire. Alla fine sarà il cambio a tradire definitivamente il generoso "Wattie", mentre Scheckter potrà involarsi vittorioso verso il traguardo, nonostante qualche apprensione dell'ultimo minuto, con la pompa della benzina che fa i capricci e il motore che rantola pericolosamente. Nel dopo gara qualcuno avvicina il pilota sudafricano e gli rifila un interrogativo di quelli pesanti: come si comporterà la sua Wolf sui circuiti veloci che lo attendono per il prosieguo del campionato? Candido come un cherubino Jody risponde così: "La nostra macchina è nuova e quindi non sappiamo come vada sul veloce". Del resto Robert McNamara, storico segretario alla difesa sotto Kennedy e Johnson, insegnava: "Non rispondere mai alla domanda che ti fanno. Rispondi alla domanda che vorresti ti venisse fatta." Proprio adesso che qualcuno dice "Però questa Wolf!!!" ed inizia ad interessarsi al fenomeno, le cose si mettono a girare male. A Zolder il tempo la fa da padrone: al via piove e Watson brucia il poleman Andretti, ma entrambi si ritrovano fuori con la Lotus che tampona la Brabham. Ne risulta primo Scheckter, partito dalla seconda fila, tallonato dalla Lotus di Nilsson. Smette di piovere e le traiettorie che vanno asciugandosi obbligano i piloti ad un pit stop per cambiare le gomme: la Wolf scende al terzo posto dietro a Lauda e ad uno scatenatissimo Mass. Quando la pioggia inizia nuovamente a cadere sul tracciato belga, Scheckter gioca la carta di un cambio gomme anticipato che però non porta i frutti sperati, perché la pompa della benzina si mette a dare i numeri. Al 63° giro il pilota sudafricano è obbligato ad alzare bandiera bianca. In Svezia Scheckter conquista il quarto posto in qualifica, ma questa volta la sua corsa dura anche meno: la Wolf si trova al terzo posto alle spalle di Andretti e Watson. Imprendibile l'italo americano, ma la Brabham dello scozzese sembra alla portata di mano e Jody tenta il sorpasso alla curva prima del traguardo: sceglie la traiettoria più interna e lancia l'affondo, ma la sua ruota anteriore aggancia la posteriore di Wattie, che non si è accorto della manovra ai suoi danni e ha mantenuto la linea normale. Mentre la Brabham si gira in testacoda, Scheckter si ritrova con la sospensione fracassata, pagando la sua irruenza. In vista del Gran Premio di Francia, si prova sul circuito di Digione sperimentando un airbox che sfrutta il largo roll bar come entrata per l'aria e chiude il cofano motore in una forma bombata e rastremata, ma questa novità non viene utilizzata nell'immediato. Ottavo in qualifica, Jody non riesce a risalire la china durante la gara. La sua corsa termina al 67° giro dopo essere stato tamponato da Vittorio Brambilla: il sudafricano ha probabilmente sbagliato ad inserire una marcia e la macchina ha subito un brusco rallentamento, facendosi centrare in pieno dalla Surtees dell'italiano. Ancora zero punti a Silverstone per il Gran Premio d'Inghilterra e questa volta per colpa del motore che rende l'anima, mentre la Wolf resiste accanitamente in difesa di un sudato quarto posto. Il commento di Autosprint in proposito è piuttosto laconico: "La Wolf è macchina buona ma non eccezionale come può far credere un avvio di stagione che è stato molto benigno. Qui è stata usata una versione passo lungo, ma anche così la monoposto ha conservato le sue caratteristiche sovrasterzanti che sono state un rosolio per gli amanti dello spettacolo di acrobazia, non certo per chi doveva guidarla." A questo punto non resta che sperare nei Cosworth sperimentali, ma la disperata ricerca di potenza sembra produrre come unico risultato una bella collezione di rotture, che spesso nega la continuità alle squadre fornite del celebre 8 cilindri. Per il Gran Premio di Germania la Wolf si presenta in splendida forma, tanto da ottenere la pole position. C'è però il trucco: Jody ha sfruttato la scia della March di suo fratello Ian, lanciata sul rettilineo. Al via Scheckter mantiene la posizione, ma si trova alle spalle due brutti clienti come John Watson e Niki Lauda. L'austriaco fa fede alla sua fama di ragioniere della Formula 1 con un comportamento prudente: ha capito che Jody sta spremendo la sua Wolf come un limone e lascia che Watson continui a spingere come un forsennato alle spalle del sudafricano. Inaspettatamente non è l'otto cilindri Cosworth a rendere l'anima, ma il ben più potente 12 cilindri boxer dell'Alfa Romeo, che al 9° giro lascia a piedi il povero "Wattie". Lauda si fa sotto ad una Wolf con le gomme ormai alla frutta e all'ingresso della seconda chicane lo passa senza che il sudafricano possa opporre alcuna resistenza. Gli rimane la consolazione del secondo posto e punti preziosi che ridanno ossigeno alla sua posizione in campionato sempre più critica. Se vuole conservare qualche speranza di combattere per il titolo deve riprendere il ritmo di inizio stagione. Disgraziatamente il Gran Premio d'Austria è il terreno per un altro madornale errore: in una giornata in cui la pioggia ha mischiato parecchio le carte e molti avversari sono rimasti falcidiati dalla moria di Cosworth, Jody getta tutto per un suo errore nel tentativo di passare la March di Patrick Neve. Jody e Walter Wolf sono consapevoli che per rimanere in corsa devono assolutamente vincere: a Zandvoort le cose iniziano male perché la monoposto palesa problemi ai freni e il pilota sudafricano si ritrova relegato al 15° posto in griglia. La strada è tutta in salita, ma fortunatamente davanti succede di tutto: Hunt che era in testa si aggancia alla Tarzan con Andretti e si ritrova con una sospensione rotta. L'italoamericano paga lo sgarro con l'ennesima rottura del motore. E' solo l'inizio di una lunga lista di desaparecidos: Jabouille, Mass, Watson, Jarier, Keegan, Regazzoni, Peterson, Depailler, Jones, Reutemann. Lentamente Jody ha risalito la china e nel finale si trova al quarto posto dietro ad un magnifico Tambay, alla sua terza corsa in Formula 1. La fortuna guarda benigna verso il sudafricano e all'ultimo giro la Ensign del francese rimane senza benzina, regalando il gradino più basso del podio alla Wolf. A Monza Jody parte sparato come una palla di cannone dalla sua seconda fila e conquista la testa della corsa, ma nulla può contro la Lotus di Andretti. A metter fuori gioco la Wolf ci penserà ancora una volta il motore. A Watkins Glen, sotto il diluvio, Scheckter ottiene un terzo posto nel giorno in cui Niki Lauda conquista definitivamente il titolo mondiale, ironia della sorte, finendo proprio alle spalle del sudafricano. Ma per Jody c'è ancora spazio per una vittoria, proprio sul circuito canadese di Mosport, nella patria adottiva di Walter Wolf. Per la verità Jody sembra destinato ad un quarto posto dietro a Hunt, Andretti e Mass. I primi due tengono un ritmo forsennato, irraggiungibile per tutti gli altri, lottando duramente tra loro per la leadership. Vanno talmente forte che Hunt arriva alle spalle del compagno di squadra Jochen Mass, terzo, e si appresta a doppiarlo, quando un incomprensione tra i due porta le loro monoposto ad agganciarsi: Hunt si schianta contro un muretto e Andretti si troverebbe la porta aperta verso la vittoria se il suo Cosworth... Ancora un motore scassato da aggiungere al fitto albo stagionale. Scheckter primo nonostante qualche noia: "La vettura non è andata male: sottosterzava all'inizio ed è un po' peggiorata verso metà corsa ma non è stato troppo forte. La rottura del tubo di scarico non ha fatto veramente una grande differenza, ma mi sono preoccupato un po'." Non rimane che il Giappone, che si rivelerà però un Gran Premio senza infamia e senza lode, con un sesto posto in qualifica e un decimo in gara, peggior piazzamento stagionale. Scheckter conclude il campionato '77 alle spalle del vincitore Lauda, mentre il Walter Wolf Racing deve accontentarsi del quarto posto nella classifica costruttori: non male per una squadra che ha deciso di correre con una sola monoposto, e comunque sempre davanti a team come Tyrrell o Brabham. A bocce ferme Autosprint esprime un giudizio sulla Wolf che appare abbastanza lusinghiero rispetto a quanto si è spesso scritto e detto durante la stagione: "Insieme alla Lotus 78 la WR1 e' stata la monoposto rivelazione della stagione trascorsa, di concezione classica e realizzazione originale." Appare ormai chiaro che la Wolf è considerata una delle massime forze nel campionato di Formula 1 e visto come è andato l'anno di noviziato, ci si attendono sfracelli per la stagione successiva. Ma nel momento in cui le attese sono alle stelle, il "lupo" scompare nell'ombra, ibernata nei rigori dell'inverno, e quando all'inizio del mondiale '78 i ghiacci si sciolgono, incredibilmente nulla sembra essere cambiato: stesso pilota, stesso team, stessa macchina. Il guaio è che il resto del mondo è andato avanti freneticamente. Più o meno tutti si stanno arrovellando il cervello per domare e applicare il fenomeno aerodinamico applicato dalla Lotus 78, ormai conosciuto come effetto suolo. Senza contare l'esplosione di una feroce guerra di gomme tra la Good Year e la Michelin, che nel '77 ha introdotto gli pneumatici a carcassa radiale: praticamente un altro pianeta. L'unica novità sulla Wolf è il nuovo logo del team: una W nei colori rosso e oro con la sagoma di un lupo seduto in primo piano. In realtà la progettazione del nuovo modello ad effetto suolo sta assorbendo tutte le energie tecniche del team e non c'è molto spazio per modificare la WR1. Si parla perfino di un possibile accordo con la Schnitzer per costruire un motore turbo 4 cilindri su base BMW. E' piuttosto curioso notare come nella prima parte della stagione '78 i telai più freschi (WR 2 e WR 3) con il passo leggermente più lungo vengano accantonati in favore del primo modello, il più usato e quello che ha consentito la conquista delle tre vittorie nel campionato precedente. La stagione parte in Argentina e Scheckter si trova subito a remare come un dannato per riuscire a conquistare la decima posizione, ma in Brasile va anche peggio e Autosprint commenta acidamente: "Scheckter, poveretto, si è arrabattato come ha potuto. Una collisione con Tambay lo ha ritardato e poi le conseguenze lo hanno consigliato di fermarsi, per non rischiare guai con lo sterzo storto." C'è da giurare che il sudafricano stia stramaledicendo il famoso quanto blindatissimo contratto con la Wolf, che gli ha impedito a fine '77 di accettare i corteggiamenti della Ferrari. In Sud Africa si vede qualche timido segnale di ripresa: in prova Jody lotta come un dannato per problemi insolubili con l'assetto, forse amplificati dalle nuove gomme radiali da 15" della Good Year, che non valgono le Michelin. Ma in gara la Wolf scatta magnificamente dal quinto posto e si proietta alle spalle di Andretti e Lauda. La Brabham dell'austriaco regge per poco e si fa passare in staccata dopo pochi giri. Scheckter può gettarsi all'inseguimento della Lotus di Mario, anche se le sue gomme iniziano a degradarsi e la monoposto diventa sovrasterzante. Alla fine del rettifilo Jody infila Andretti e si proietta in testa alla corsa, ma poi è costretto a cedere a Patrese, a Lauda e al ritorno di Andretti. Scheckter s'installa al quarto posto e sarebbe già un bel risultato se il motore non lo lasciasse a piedi. La trasferta negli Stati Uniti, sul circuito di Long Beach frutta un'altro mesto ritiro ma a Montecarlo la Wolf WR1 consente a Scheckter di salire nuovamente sul podio. La qualifica non è delle più brillanti con un nono posto in griglia, ma come al solito il sudafricano parte sparato come una palla di cannone. Dopo il primo giro Watson conduce davanti a Depailler, Lauda, Andretti e Scheckter. Jody, mentre cerca di insidiare il quarto posto di Mario, è costretto a controllare negli specchietti la pericolosa presenza di Alan Jones e Ronnie Peterson, a cui si aggiunge anche Gilles Villeneuve. La battaglia per il quarto posto diventa uno degli elementi centrali del Gran Premio, ma dopo metà corsa il gruppo subisce le prime perdite: Andretti è costretto ad una sosta per riparare un condotto della benzina, Peterson si trova con il cambio K.O., Villeneuve schiantato sotto il tunnel per un pneumatico che andava perdendo pressione e, davanti, Watson deve abbandonare la testa della corsa per problemi ai freni. Matura così il terzo posto, ultimo risultato importante della WR1. Il nuovo modello WR5 è ormai pronto è si tratta di una vettura completamente diversa, ispirata dalla ricerca dell'effetto suolo. Harvey Postlethwaite ha peraltro dimostrato di averci capito qualcosa in più rispetto a tanti colleghi: gli scarichi del Cosworth soffiano in alto per non disturbare il flusso d'aria sotto la scocca, ma sopratutto la nuova vettura presenta l'innovazione delle bandelle laterali scorrevoli all'interno dei cassoni laterali. Non ci erano arrivati nemmeno quei geniacci della Lotus, che infatti copieranno subito la soluzione sulla nuova monoposto Mk79. La carriera nel campionato della WR1 continuerà ancora per qualche mese. Teddy Yip, l'uomo che controlla mezza Macao, acquista la WR3 e la WR4 (che non ha mai corso con i colori della Wolf) per lanciare il suo team Theodore Racing Hong Kong e un nuovo talento: Keke Rosberg. Il finlandese avrà il suo da fare a cavare qualcosa di buono da quei telai, ma gli scarsi risultati non ne fermeranno la carriera. La Wolf schiera ancora l'originale WR1 nel Gran Premio del Canada per Bobby Rahal, futura stella dell'automobilismo americano e poi titolare dell'omonimo team, ma l'avventura del pilota canadese si conclude con un ritiro dopo appena 16 giri. Del resto gli occhi sono tutti per Gilles Villeneuve, che in quell'anno conquista la prima vittoria proprio nel Gran Premio di casa. In quel periodo una monoposto non più valida per la Formula 1 ha ancora un'ultima spiaggia: la Formula Aurora in Inghilterra. Il telaio WR3 vi compare nel finale della stagione '78, e nelle mani di David Kennedy si dimostra subito vincente, cogliendo il successo nel Budweiser Trophy a Snetterton. Nel 1979 lo stesso Kennedy disputa il campionato con la WR4, raccogliendo un bottino di 3 vittorie (Zolder,Oulton Park e Mallory Park) e numerosi piazzamenti, ma verso fine stagione passa a una più veloce WR6 ad effetto suolo. La WR4 finisce nelle mani di Val Musetti e poi di Geoff Lees, che conquista un terzo posto a Silverstone. Nel 1980 ricompare anche la vecchia WR3, ma è ancora la WR4 a cogliere il risultato più eclatante: nelle mani di Desirè Wilson, conquista infatti la vittoria nell' Evening News Trophy a Brands Hatch, beffando la Lotus 78 di Norman Dickson, la Williams FW07 di Eliseo Salazar e la FW06 di Giacomo Agostini. La signora dal piede pesante raccoglie ancora un secondo posto a Thruxton e un terzo a Mallory Park, ma a questo punto la Wolf comincia a diventare troppo vecchia anche per l'Aurora. Curiosamente il declino del Walter Wolf Racing corre parallelamente con quello del suo primo modello: la stagione '78 è discreta, ma certamente lontana dai clamori e dagli exploit dell'anno precedente e si conclude con la perdita di Jody Scheckter, finalmente riuscito a svincolarsi dal contratto con il team canadese per correre verso una Ferrari da titolo mondiale. Al suo posto arriva James Hunt, demotivato da una brutta stagione in McLaren e poi ancora più abbattuto nel constatare il passo falso commesso nel cambiare squadra. A Montecarlo James ne ha già le scatole piene, non solo della Wolf ma anche delle corse: piglia la porta e scompare dalla Formula 1. Lo sostituisce il giovane Keke Rosberg, ma tecnicamente la squadra è al fondo e a fine stagione Walter Wolf stacca la spina per vendere il materiale alla Fittipaldi, lasciando che sia il pilota carioca a suicidarsi finanziariamente. E i rapporti con la Lamborghini? Accantonata la possibilità di vederla parte attiva del proprio progetto per la Formula 1, Wolf proseguì nello sviluppo privato della Countach con il sapiente ausilio tecnico di Giampaolo Dallara, che lo portò ad acquistare tra il 1974 e il 1978 i telai n° 7, 148, 202 e 1001, dei quali solo il primo in versione standard: già sul secondo telaio riuscì infatti a far montare il V12 da 5000 cm3 al posto del 4000 cm3, le Pirelli P7 da 205 sull'anteriore e 345 sul posteriore sempre su cerchi da 15 pollici, che costrinsero Dallara ad allargare i passaruota, uno spoiler anteriore e un alettone posteriore regolabile, dischi freni con 8 calipers, un doppio disco frizione e un volante di tipo Formula 1. Il terzo telaio rimase simile al secondo ma venne studiato un sistema elettrico che consentisse la regolazione dell'alettone posteriore dall'abitacolo. Infine il quarto telaio, che tutt'oggi viene considerato come il primo modello di lp400S, esposto al salone di Ginevra del 1978: oltre alle caratteristiche già descritte era fornito di un sistema di regolazione del sistema frenante direttamente dall'abitacolo, così come già successo sul terzo telaio per l'ala posteriore. In tre anni la Formula 1 è cambiata enormemente: per disegnare la WR1 sono bastate poche ore di galleria del vento, ma con l'effetto suolo quelle ore si stanno vertiginosamente moltiplicando con una serie di complicazioni per domare propriamente la tecnologia. Di conseguenza i costi s'impennano e nell'ultimo anno anche Wolf, prima unico e orgoglioso finanziatore di se stesso, deve mettersi in giro per cercare quattrini e sponsor con cui mandare avanti la baracca. Non è vita per un multimilionario come lui. Conclusa l'avventura nella Formula 1, Walter Wolf scompare di scena, e anche se nella vita le statistiche non sono tutto, difficilmente ci si ricorderebbe ancora di lui e della WR1 se Jody Scheckter non avesse vinto quel Gran Premio di Argentina, proprio al debutto della squadra.

Stefano Costantino

Un cortese ringraziamento al Museo dell'Automobile "Carlo Biscaretti di Ruffia" per aver messo a disposizione il proprio archivio.

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